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Abstract :

A06. Il futuro del presente: implicazioni future del farmaco sul genere umano

 “Possiamo vedere nel futuro

ma solo a poca distanza.

Eppure già così vediamo che il futuro

ci impone di darci da fare sul serio.

Alan Turing

 

Il futuro del presente: implicazioni del farmaco sul genere umano

L’industria farmaceutica evolve focalizzando sul Sistema Qualità in genere e sul significato globale che dovrebbe assumere questo termine in ogni singolo settore produttivo per consentire di fornire farmaci fit for use: preparati ad uso farmaceutico efficaci e adatti a fornire la più corretta applicazione terapeutica possibile. Obiettivo della moderna azienda farmaceutica diviene, insomma, quello di produrre medicinali ad altissima qualità, cioè praticamente aventi “zero difetti”, attraverso la responsabilizzazione di tutto il personale ad ogni livello sull’importanza della massima qualità sia del prodotto che del processo produttivo: i parametri di processo che sono critici, la cui variabilità ha un significativo effetto sulla qualità del prodotto finito, devono essere chiaramente identificati e monitorati; i relativi processi produttivi nei quali tali parametri intervengono, devono essere validati.

Questi concetti sono espressi chiaramente sia dalle ISO che dalle Good Manufacturing Practices che sostanzialmente sono costituti da riferimenti adeguatamente armonizzati. Nella logica di un Sistema di Qualità l’importanza del Quality Assurance e del suo compito decisionale viene ad essere esaltata mentre fino a poco tempo addietro il ruolo del Quality Assurance e del personale coinvolto nella definizione del Sistema Qualità nelle aziende farmaceutiche era sottovalutato in quanto non era chiaro il suo impatto sul Business finale dell’azienda: da ciò si comprende sia che senza Qualità non c’è business sia che la concorrenza tra varie aziende è basata proprio sul livello qualitativo dei prodotti.

Attualmente le sostanze farmacologicamente attive sono estratte, isolate, sintetizzate e riprodotte a piacimento: la farmacologia studia l’azione dei farmaci prima su un tessuto od un organo isolato, poi sull’animale vivo ed infine sull’uomo. La farmacodinamica si interessa di ciò che la sostanza attiva provoca all’interno dell’organismo; la farmacocinetica studia il modo in cui i corpi trasformano il farmaco; la tossicologia indaga sugli effetti secondari dei farmaci, in quale misura possono essere accettati e quali precauzioni bisogna raccomandare a medici e pazienti.

Recentemente il farmacologo tedesco Georg Fulgraff, già Segretario di Stato alla Sanità, ha paragonato la crescita costante delle nostre conoscenze a quelle bambole russe che si rinchiudono le une nelle altre “con la straordinaria differenza che ogni qualvolta apriamo una bambola, quella dentro è più grande della precedente”.

Il proliferare di nuovi accessi alla conoscenza non deve, però, far rischiare di superare la stessa capacità dell’uomo di rimanere il padrone della massa di novità, talora anche inquietanti, che va scoprendo.

Il secondo dopoguerra ha visto, dunque, progressi senza precedenti: in cinquanta anni si è scoperto più che in cinquanta secoli. 

Inoltre, l’antica separazione classica tra ricerca universitaria e ricerca industriale non esiste più poiché da tempo le aziende sono alla ricerca di conoscenze di base senza le quali non possono proseguire.

Ciò che stupisce a prima vista è il peso che i medicinali, di cui non si conosce ancora il meccanismo di azione, hanno nello studio dei processi che essi modificano. Grazie alle benzodiazepine, ad esempio, si è potuto vedere con una microfotografia del cervello alcuni recettori naturali della cui esistenza era avanzata l’ipotesi ma non si era ancora riusciti a rendere visibili.

Così il farmaco, fatto prima di tutto per curare, diventa spesso uno strumento che permette di approfondire la conoscenza del nostro organismo. Ciò significa che la cooperazione tra ricercatori dell’università, degli istituti specializzati e dell’industria è importante.

La ricerca ormai cresce a ritmi impressionanti con l’impiego delle piattaforme tecnologiche d’avanguardia come la genetica e lo screening ad alta resa si possono selezione strutture target più appropriate che mettono in grado di scoprire e sviluppare farmaci dal livello di efficacia e sicurezza senza precedenti.

Le nuove tecnologie e le aree di ricerca sono alla base della rivoluzione oggi in atto nella medicina. Alcune di queste sono emerse negli ultimi decenni, altre più di recente.

La Biologia molecolare, ad esempio, è alla base della moderna farmacologia nascendo con l’idea che ad una certa struttura molecolare corrisponda un determinato effetto sull’organismo vivente. Gli iniziali modelli molecolari di studio in materiali plastici sono stati sostituiti oggi dal computer che con abile uso della prospettiva consente visioni tridimensionali di elevatissima precisione: ciò permette di lavorare rapidamente sul modello e di ritoccarlo, una sorta di “drug design” al fine di ottenere nuove molecole possibilmente più efficaci delle iniziali, appare sullo schermo del computer, dunque, la rappresentazione del nuovo metodo QSAR (Quantitative Structure-Activity Relationships) ovvero, letteralmente, studio quantitativo delle relazioni struttura-attività, il cui scopo è, in effetti, quello di aumentare la razionalità nella ricerca dei farmaci.

Lo strumento più importante della Biologia molecolare, poi, l’ingegneria genetica, rende possibile lo studio dei processi biologici in cellule, organi ed organismi a livello biomolecolare. Possono essere individuate, in tal modo, le cause delle malattie. È stato così scoperto, per esempio, come il virus dell’HIV, che provoca l’AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita), penetra nei globuli bianchi e li distrugge. Si può, ancora, modificare il patrimonio genetico di un batterio per indurlo a produrre determinate sostanze il che porterebbe i farmaci esattamente nel punto “bersaglio” dell’organismo in cui servono anziché affidarli al flusso sanguigno sia direttamente, con una iniezione, sia indirettamente, per via orale. Con altre tecniche ci si serve degli anticorpi monoclonali per una farmacologia selettiva. Con l'informatica, l’automazione e le nuove tecniche chimiche, poi, le bioscienze dispongono degli strumenti adatti per sviluppare farmaci nuovi e più efficaci.

Con l’ausilio della genomica e della bioinformatica, ancora, i ricercatori possono individuare geni e mutazioni genetiche che, sebbene non ancora noti, svolgono ruoli fondamentali nello sviluppo delle malattie. Insieme alla genomica si è giunti anche a nuovi approcci diagnostico-terapeutici come la proteomica e la metabolomica giacchè siamo in possesso di strumenti sia tecnologici che teorici in grado di consentire analisi approfondite delle cause d’innesco delle patologie non solo a livello genico ma anche a livello proteico ed a livello delle reazioni chimiche di metabolismo che avvengono nelle cellule.

I calcolatori elettronici danno un contributo enorme alla ricerca grazie alla nuova filosofia di impostazione  ed  utilizzazione  del  calcolo parallelo(1)  dove  ciò  che conta non è tanto la tecnologia quanto l’architettura: le nuove macchine parallele sfruttano, infatti, la potenza non di un unico potentissimo calcolatore bensì quella di migliaia di unità di calcolo collegate da un sistema di connessione estremamente efficiente ed in grado di garantire altissime prestazioni.

Anche la tecnologia del chip genomico è particolarmente utile in questa ricerca. È ora possibile esaminare contemporaneamente migliaia di sequenze genetiche su un chip a DNA delle dimensioni di un centimetro quadrato ed analizzarne i risultati in pochi secondi. In tal modo, si può confrontare il tessuto malato con il tessuto sano - per esempio, è possibile individuare geni che sono attivi nel tessuto malato ma non in quello sano. Gli studi di questi geni possono portare all'individuazione di una importante causa della malattia e del bersaglio per una nuova forma di trattamento; in altri termini, è possibile rilevare la molecola su cui avrebbe effetto una sostanza farmacologica.

Vi è, poi, la proteomica che sta acquisendo un sempre maggior rilievo. Nella ricerca delle cause genetiche di una malattia, non è sufficiente conoscere semplicemente i geni coinvolti e la loro sequenza di DNA. I sintomi delle malattie, infatti, non sono indotti dai geni, ma da proteine prodotte quali risultato di alcuni geni. Per poter capire e combattere le malattie, occorre, pertanto, studiare le proteine dell'organismo responsabili di tutti i processi biologici: la crescita, il metabolismo, le malattie, ecc. I metodi tradizionali non consentono di sintetizzare le proteine da analizzare in quantità sufficienti e in un arco di tempo adeguato. Il sistema RTS 500 (Rapid Translation System di Roche Molecular Biochemicals) ha ovviato a questo problema: può infatti essere utilizzato per produrre, in maniera semplice, un'ampia serie di proteine in quantità pari a diverse centinaia di microgrammi.

Inoltre, una volta individuato un bersaglio che riveste un ruolo importante nel meccanismo della malattia, può cominciare la ricerca di sostanze medicinali adeguate. Il target biologico deve essere bloccato o stimolato al fine di interferire con il processo della malattia e, se possibile, avviare la guarigione.

Grazie anche a robot di laboratorio è possibile testare diverse sostanze contemporaneamente perseguendo l’obiettivo di individuare molecole che interagiscano con il target biologico e rappresentino, quindi, dei potenziali nuovi farmaci. Vanno sorgendo, ancora, numerosi depositi di composti ed altre libraries di sostanze nei diversi prestigiosi centri di ricerca dove è depositata un'enorme quantità di molecole che possono essere testate come potenziali nuovi farmaci.

Con il processo di ricerca rapida in una biblioteca di sostanze denominato  sistema di screening ad alta resa, ancora, ciò che fino a qualche anno fa i migliori laboratori riuscivano a gestire in un anno (ad esempio: un progetto di circa 60.000 molecole) attualmente può essere esaminato in un solo giorno.

In molti casi, infine, il processo di screening consente di individuare un certo numero di sostanze di potenziale interesse la cui struttura chimica viene, conseguentemente, ottimizzata con l'impiego della progettazione computazionale di farmaci e della chimica combinatoria, tecnica che permette di produrre in breve tempo un cospicuo numero di varianti delle diverse sostanze consentendo attualmente al chimico di produrre circa 50.000 varianti di una sostanza in un anno contro le 50 o massimo 100 varianti possibili nel recente passato nello stesso arco di tempo considerato.

La sfida oltremodo affascinante è quella di come tradurre gli eccezionali progressi nella messa a punto di nuove terapie.

Una grande promessa è la terapia genica che prevede l’utilizzo dei geni direttamente come farmaci per rimpiazzare le funzioni biologiche che nei pazienti sono state danneggiate da mutazioni genetiche: la terapia cellulare ex-vivo in cui si prelevano cellule del paziente che, dopo inserimento di nuove copie del gene, sono reintrodotte nell’individuo; la terapia cellulare in vivo quando il gene è iniettato direttamente nei tessuti del paziente.

La medicina molecolare, poi, studiando il dna di ogni individuo e consentendo la comprensione delle modalità di reazione di ciascun individuo al farmaco, è l’architrave della farmacogenomica che si occupa dello sviluppo di farmaci personalizzati per ciascun uomo dagli effetti collaterali ottimizzati e ridottissimi e con effetti terapeutici massimi: attualmente, infatti, il vulnus della maggior parte dei farmaci disponibili è che sono esaustivamente efficaci soltanto su una frazione oscillante dal 20 al 60 per cento dei pazienti cui sono somministrati.

Il farmaco di domani, dunque, sarà all’insegna della tailor terapy, cioè della terapia su misura, che avrà tanti piccoli mercati nei quali però il farmaco funziona davvero. I test di efficacia oggi vengono fatti sulla popolazione media e quindi il prodotto “mediamente” funziona. Ma pensiamo ai nuovi farmaci antitumorali formulati sulle caratteristiche genetiche: funzionano al 100% in una determinata popolazione. Le più recenti metodologie di ricerca, in effetti, per poter offrire ai pazienti il farmaco giusto al dosaggio giusto nel momento giusto impiegano proprio i biomarcatori o marcatori biologici che indicano se un farmaco ha raggiunto il target a un dosaggio sicuro e se avrà l’effetto desiderato(2). La farmacogenetica, infine, ha di fronte a sé un’ulteriore ambiziosa sfida: lo sviluppo di farmaci molecolari attivi modulando interferenze sui siti di geni e proteine in cui si origina la malattia. Tuttavia, non va sottaciuto che vi sono anche intralci all’avvento della medicina personalizzata che, ad esempio,  può entrare in conflitto con il sistema dei brevetti dei geni. Può accadere, infatti, che il proprietario di un gene possegga anche le sue mutazioni che sovente possono fungere da marcatori di una determinata patologia. I Paesi dove non si brevettano i geni, dunque, almeno teoricamente, sono in grado di elaborare diagnosi migliori rispetto agli Stati Uniti d’America in quanto è consentito a molti laboratori effettuare le analisi che potrebbero portare alla scoperta di un maggior numero di mutazioni migliorando correlativamente la qualità complessiva del sistema diagnostico. È possibile, inoltre, sempre quantomeno teoricamente, che si verifichi anche il caso di un farmaco la cui efficacia sia limitata solo ad una quota della potenziale coorte di malati ma che l’azienda produttrice soffochi i tentativi da parte di altre aziende di sviluppare test genetici in grado di stabilire a chi giovi.

Piu in generale, emergono le problematiche sulle conseguenze della politica restrittiva adottata nell’ambito dei brevetti genetici. In effetti, sempre quantomeno teoricamente ed alla luce dei vigenti combinati disposti legislativi nonché per una controversa interpretazione da parte dell’Ufficio Brevetti(3) degli Stati Uniti relativa a specifiche decisioni della Corte Suprema, il titolare di un brevetto sui geni potrebbe chiedere qualsiasi prezzo per un kit-test genetico e, nel contempo, impedirne anche la produzione da parte di altre aziende sue concorrenti giacchè nessun altro può usare quei geni per una diagnosi. È possibile, tuttavia, ottenere licenza per i brevetti ma, ovviamente, a pagamento e le cifre da pagare ai proprietari di genoma sono non di rado ritenute esose dai ricercatori che, conseguentemente, optano per ricerche meno costose.

Ampliando ulteriormente l’ambito di riflessione, va evidenziato che, di fatto, non è allo stato neanche possibile che un malato, ad esempio oncologico, doni il proprio gene del suo stesso cancro ad un altro scienziato senza permesso: il gene, dunque, può anche esistere nel corpo di una persona ma è, ormai, proprietà privata.

Oggi più di venti patogeni sono di proprietà privata e tra essi figurano il bacillo dell’influenza Haemophilus influentiae ed il virus dell’epatite C(4).

Con tutta la modestia possibile nel tentativo di pormi nel ruolo, in senso molto lato, dell’intellettuale, è chiaro che le preoccupazioni espresse sull’uso della scienza presuppongano il riconoscimento dell’importanza della scienza stessa. In effetti, il progetto genoma umano ci ha portato avanti nel conoscere noi stessi. Tuttavia, gli interventi genetici possono essere rischiosi, ed in tale evenienza vanno controllati, come portare alla guarigione di un malato attraverso una terapia eticamente condotta. In ogni caso, se l’espressione di riserve in merito è considerato allarmismo, allora scienziati e giuristi sono chiamati a smentire mentre, di contro, se in tali riserve c’è un fondo di verità, allora scienziati e giuristi sono chiamati a dimostrare che i rischi paventati non rappresentano una reale possibilità.

In ambito scientifico, comunque, sono tutt’altro che infrequenti gli approcci aperti e collaborativi nella ricerca che stanno cambiando la cultura di molte aziende; un esempio ci perviene dalla bioinformatica: attualmente si è giunti a conoscere oltre 200 proteine fondamentali per il metabolismo umano e la loro rete di interazioni con le 10 miliardi di basi azotate che costituiscono i geni umani si infittisce quotidianamente per cui la ricerca necessita di nuove capacità di analisi. Per soddisfare tale esigenza nel 2001 il Laboratorio Europeo di Biologia Molecolare EMBL, finanziato da 19 Paesi, istituisce  l’Istituto Europeo per la Bioinformatica EBI(5) di Hixton presso Cambridge che si è rapidamente rivelato una risorsa fondamentale per la comunità scientifica, sia accademica che industriale, di tutto il mondo:collegandosi al sito dell’EBI, ricercatori accademici e industriali di tutto il mondo possono liberamente analizzare tutti i dati su genomi e proteomi degli organismi viventi pubblicati ed aggiornati in tempo reale.

Gli strumenti di analisi sono i software open source sviluppati dallo stesso istituto e liberamente scaricabili. A tutto il 2006 il database ha un flusso di 2 milioni di contatti al giorno e registra annualmente oltre 1 milione di utenti singoli all’anno.

Conseguentemente, mentre fino a qualche anno fa la tendenza per le company era quella di scaricare i dati per analizzarli protetti nel proprio firewall per non far carpire il lavoro, oggi molti assumono un atteggiamento più aperto comunicando con gli altri in un’area che ormai è considerata uno spazio pre-competitivo(6).

La ricerca farmaceutica, inoltre, ha raggiunto una posizione di primo piano anche per consistenza dei capitali impiegati.

Secondo una recente indagine della Commissione Europea(7), i comparti industriali dell’automobile, dell’informatica e della farmaceutica assorbono il 90% circa degli investimenti in Risorse & Sviluppo; a livello mondiale, addirittura, il secondo budget privato in R&S è proprio quello di un’azienda farmaceutica.

La ricerca farmaceutica, inoltre, ha raggiunto una posizione di primo piano anche per consistenza dei capitali impiegati.

Secondo una recente indagine della Commissione Europea(7), i comparti industriali dell’automobile, dell’informatica e della farmaceutica assorbono il 90% circa degli investimenti in Risorse & Sviluppo; a livello mondiale, addirittura, il secondo budget privato in R&S è proprio quello di un’azienda farmaceutica.

Secondo una recente statistica, all’inizio di questo secolo, tra le cento maggiori economie mondiali compaiono cinquantuno gruppi societari multinazionali e solo quarantanove Stati. Se si sommano tra loro i prodotti interni lordi di tutti gli Stati del Mondo (191 al momento del conteggio), escludendo solo i maggiori nove (Stati Uniti, Giappone, Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Cina, Brasile e Canada), il risultato è una cifra inferiore al valore aggregato delle vendite annuali delle prime duecento società del Mondo.

Non solo le corporations, tra cui numerose sono farmaceutiche, rappresentano gli attori economici più importanti, rivaleggiando per dimensioni e potere con gli stessi Stati ai cui ordinamenti sono formalmente assoggettate, ma esse riflettono e amplificano la concentrazione della ricchezza e la divisione del Mondo tra ricchi e poveri: il 93% delle prime 200 società al Mondo appartiene a soli sette Paesi.

Le corporations possono promuovere il progresso, la pace e il benessere ma possono anche diventare i nuovi cavalieri dell’Apocalisse ed essere corresponsabili di guerre, carestie, pestilenze. Nel nostro secolo l’elenco delle guerre iniziate e finite per ragioni più o meno direttamente legate agli interessi di un piccolo gruppo di società è lungo: dal Boston Tea Party del 1773 e la conseguente guerra anglo-americana alla guerra dell’Oppio del 1839 tra Inghilterra e Cina il cui casus belli fu la requisizione e l’incendio del deposito di una società da parte del commissario imperiale Lin Tze-su. (…) Si pensi ancora al controllo dei brevetti dei medicinali da parte delle maggiori multinazionali del settore farmaceutico(8).

Accanto ai grandi moloch multinazionali che dettano legge, però, grazie alla rivoluzione del biotech fioriscono nuove start up con una decisiva competitività entro un network mondiale (costituito da circa 3000 aziende di cui la metà americane) dove ci si può inserire con dimensioni aziendali minime purchè si abbiano idee valide e la capacità di agganciare la nicchia in cui si opera al network stesso.

Oggi il comparto biotech vale nel mondo 60 miliardi di dollari di fatturato annuo ed in Asia cresce al ritmo record del 46%.

Nel mondo sono già 250 milioni i pazienti curati con farmaci biotech che rappresentano un quinto di quelli in commercio; molti di questi medicinali interessano patologie rilevanti e diffuse, quali, solo per fare alcuni esempi, le infezioni virali, l’anemia, la fibrosi cistica, l’insufficienza della crescita, l’emofilia, la leucemia, il rigetto dei trapianti, alcune forme di cancro.

In Italia, tuttavia, la ricerca farmaceutica di grandi multinazionali, di importanti aziende italiane e di biotech companies, pur avendo un asset di valore, con un ottimo capitale umano nei settori della ricerca sia di base che clinica, non riveste un ruolo primario, benchè le possibilità di rilancio esistano, essendo carente sia un impegno forte nella ricerca transnazionale(9) che una collaborazione pubblico-privato.   Un  certo   Rinascimento(10)   appare   profilarsi   nel  biotech  sia   con   iniziative   originate da spin off(11) di nicchie di ricerche dismesse dai grandi gruppi farmaceutici che per l’offerta “di benefici sul fronte del rapporto costo/prestazioni in quanto i ricercatori locali sono abituati a lavorare con budget limitati(12) sia perchè “oggi l’Italia si è messa in regola con gli standard scientifici e tecnici internazionali nella registrazione dei farmaci, passo necessario per aprirsi al mercato globale(13)”.

Considerando, poi, la presenza produttiva e di ricerca dell’industria farmaceutica in Italia, emerge che: la Lombardia è la primaregione farmaceutica e biotech in Italia e la secondaregione chimico-farmaceutica in Europa; nel Lazio la farmaceutica rappresenta il 25% dell’export totale; Milano è la prima provincia farmaceutica in Italia e il primo polo di Ricerca italiano per

genomica, proteomica, bioinformatica, cellule staminali e terapia genica e con un

ruolo di primo piano nelle nanotecnologie.

La Lombardia, inoltre, rappresenta un modello di integrazione della Ricerca pubblica e privata

con importanti Istituti di Ricerca di fama internazionale ed una crescente propensione alla

partnership tra centri pubblici di eccellenza e aziende impegnate nella Ricerca & Sviluppo. 

Il Lazio è la seconda Regione farmaceutica per numero di addetti, e vi  operano importanti gruppi nazionali e internazionali, con rilevanti presenze produttive

e di Ricerca; Roma è un polo importante per genomica, proteomica, bioinformatica, studio delle cellule

staminali e terapia genica. La descrizione del sistema di Ricerca farmaceutica nel Lazio si completa coi tanti poli di

eccellenza nella Sanità e nella Ricerca pubblica, a partire dall’Istituto Superiore di Sanità(14)

Anche i segnali per il futuro lasciano, infine, ben sperare per l’industria farmaceutica nazionale: nonostante resti il problema di fondo dei mezzi limitati, tanto più grave in un settore in cui l’eventuale ritorno degli investimenti  richiede non pochi anni, complessivamente essa prevede di investire in ricerca 1,5 miliardi di euro all’anno nel triennio 2007-09.

Permane, comunque, nel nostro Paese un rischio addirittura di uscir fuori dalla competitività internazionale: dal 1967, infatti, sono ben 23 aziende farmaceutiche italiane passate in mano straniera.

Tra gli aspetti strutturali che pesano negativamente sull’industria farmaceutica italiana sono rilevabili i pochi incentivi al farmaco: mentre, ad esempio, in Gran Bretagna si può detrarre il 125-150% delle spese in ricerca e sviluppo, in Italia il contributo è irrisorio; inoltre, i crediti d’imposta per l’innovazione o per le start-up, che “già da anni sono una realtà in Gran Bretagna, Spagna e Francia in Italia con l’ultima Finanziaria sono del 10-15%, a seconda che si tratti di investimenti privati o contratti con università e centri di ricerca. Un primo segnale positivo, anche se ora il massimo credito d’imposta in Italia è di 1,5 milioni di euro ad azienda, mentre in Francia è stato recentemente raddoppiato da 8 fino a 16 milioni(15)”.

Con la crescita delle esportazioni, poi, l’industria farmaceutica contribuisce significativamente al buon   andamento  delle  esportazioni   ed  alla  ripresa   economica   dell’Italia  nel  2006:  dopo  aver raggiunto, ad esempio, nel 2005 il +15%, il settore registra un consolidamento della propria crescita sui mercati internazionali con un incremento del valore delle esportazioni del 5% ed una crescita di lungo periodo superiore a quella delle altre industrie(16). Nel 2006 il valore delle esportazioni dell'industria farmaceutica (11,8 miliardi di euro) è pari al totale circa della spesa farmaceutica convenzionata (12,3 miliardi, in prezzo al pubblico) ed è superiore al valore a ricavo industria della spesa per medicinali di classe A, a carico del Servizio sanitario nazionale(17) (8,5 miliardi(18)).

Tuttavia, in generale, se da un lato cresce con vigore la richiesta di prodotti farmaceutici innovativi, dall’altro emerge pressante la necessità di ridurre i costi. Si pone, dunque, il problema di come incentivare l’innovazione migliorando nel contempo l’accesso ai farmaci e l’efficienza del sistema sanitario mondiale.

D’altro canto è innegabile che La Ricerca è un processo lungo e costoso: rendere disponibile un nuovo farmaco richiede

12-13 anni di studi e investimenti ingenti, da alcune decine fino a diverse

centinaia di milioni di euro (studi accreditatistimano che scoprire un farmaco innovativo,

tenendo conto di tutti i tentativi necessari per ottenere un risultato così difficile, può arrivare

a costare anche 800 milioni di dollari).

La Ricerca è anche ad alto rischio, perché solo una sostanza ogni 5-10 mila supera con

successo i molti test necessari per essere approvata come medicinale e solo 3 farmaci su

10 consentono di ammortizzare i costi di Ricerca e Sviluppo.

Le imprese sostengono oltre il 90% della Ricerca farmaceutica e promuovono il 75% delle

sperimentazioni cliniche. Le aziende di punta investono oggi in Ricerca fino al 15% del fatturato(19)

Attualmente la disponibilità di un nuovo medicinale è il frutto di un processo che richiede molti anni di

ricerche e diverse fasi di studio regolate da specifiche norme e linee guida

internazionali che garantiscono l’attendibilità dei dati, la tutela dei diritti, la sicurezza e il

benessere dei soggetti che partecipano agli studi.

Il farmaco all’inizio della sperimentazione deve superare una serie di prove condotte in

laboratorio e sugli animali, obbligatorie per legge e fondamentali per avere una conoscenza

adeguata della sicurezza e delle proprietà del composto in studio.

Successivamente

si passa alla verifica sull’uomo, ovvero alla Ricerca clinica, condotta all’interno delle

università, degli ospedali, di istituti di Ricerca pubblici e/o privati accreditati ed autorizzati (dove

le condizioni di sperimentazione sono rigidamente controllate) e vincolata al “consenso

informato” e alla volontarietà in ogni fase di tutti coloro che vi si sottopongono. 

Le prove cliniche iniziano con una valutazione preliminare della sicurezza del medicinale nei

volontari sani (Fase 1) per poi passare alla somministrazione ad un numero limitato di

pazienti per determinare le dosi e gli schemi terapeutici (Fase 2). Si

effettuano, poi, studi su gruppi più allargati e diversificati di pazienti per verificare la sicurezza e

l’efficacia del farmaco (Fase 3).

Sulla base dei risultati di tali studi, il farmaco viene sottoposto

all’esame delle Autorità Sanitarie il cui compito è quello di valutare la documentazione

sull’efficacia e sulla sicurezza per l’autorizzazione all’immissione in commercio

Anche dopo la commercializzazione continua l’attività di farmacovigilanza attraverso la quale

vengono raccolte e valutate le segnalazioni di reazioni avverse che sono utilizzate per il

monitoraggio continuo del rapporto beneficio-rischio.

La documentazione necessaria per la nascita di un farmaco è costituita da un dossier articolato

e particolareggiato:  i dati raccolti raggiungono, e talvolta superano,

le 200.000 pagine(20)

Inoltre i più concordano sul fatto che il settore farmaceutico è in una fase di trasformazione imponendo alle aziende farmaceutiche profondi cambiamenti nelle loro strategie. Una cosa le accomuna: aver avviato ampi programmi di collaborazione con enti non-profit per aiutare i Paesi in Via di Sviluppo. GlaxoSmithKline, Lilly, Novartis, Pfizer, Roche, Sanofi-Aventis, per citarne alcune, forniscono al prezzo di costo o sotto costo non solo farmaci e vaccini ma anche know-how e tecnologie per rendere autonomi i PVS nella produzione di farmaci.

Globalizzati, con licenze aperte ed a basso costo, i farmaci del XXI secolo sono sempre più diversi da ciò che abbiamo conosciuto in passato. Proprio nell’industria farmaceutica, tradizionalmente ad alto contenuto tecnologico e vincolata dai brevetti, si sta facendo strada un nuovo modello di ricerca e sviluppo che per produrre molecole salva-vita punta sulla collaborazione tra ricerca pubblica e industrie private, ma anche tra Paesi sviluppati ed emergenti.

Lo sviluppo di farmaci attraverso collaborazioni pubblico-private è in netta crescita negli ultimi anni superando i 250 milioni di dollari nel 2005. Il contributo maggiore (78,5) viene dalle organizzazioni filantropiche come la Fondazione Bill e Melinda Gates (15,8 milioni) ed appena il 16,2% dai governi, ma la buona notizia è che il contributo delle farmaceutiche è in crescita. Le aziende non mirano a fare blockbuster ma ad avere un alto impatto sociale.

La molecola è brevettata, ma poiché la ricerca che l’ha prodotta è stata pagata per quasi dieci anni da fondi pubblici, l’intenzione è di concederla in licenza a chiunque vorrà produrla per i Paesi in Via di Sviluppo, dove il costo dei trattamenti attuali è troppo alto. Questo nuovo modello si sviluppo farmaceutico pubblico-privato ha visto nascere anche organizzazioni specifiche come il One World Health Institute, una delle più grandi farmaceutiche non-profit fondata da Victoria G. Hale e reti come la Gavi.

Il modello aperto e collaborativo solleva, però, anche preoccupazioni: mette soprattutto in seria difficoltà la concorrenza e vede contrastato il brevetto. I brevetti di processo non tutelano solo il procedimento di fabbricazione, ma lo stesso prodotto che si ottiene(21).

La questione dei brevetti è uno degli aspetti che ha contribuito a modificare il mondo del farmaco, insieme all’avvento dei generici, al mercato parallelo e preoccupante dei medicinali pirata, alla crisi dei servizi sanitari che hanno la necessità di ridurre i costi della salute pubblica e, allo stesso tempo, soddisfare la richiesta crescente di farmaci innovativi.

In relazione al crescente rilevante problema dell’accessibilità anche in occidente ai costosi farmaci biointelligenti emergono proposte di soluzione praticabile costituita dall’unione “a livello governativo, magari creando un fondo in comune o, perché no, un ente che sia al di fuori delle logiche di mercato” per una missione che non può essere svolta dalla industrie farmaceutiche: “una grande industria farmaceutica nazionale che si prenda l'incarico di produrre questi farmaci molecolari, magari su licenza e sobbarcandosene gli altissimi costi di produzione, e di distribuirli alla popolazione che non ha le possibilità economiche per accedere a cure costose(22)”.

È evidente, tuttavia, che il modello sanitario così com’è attualmente non funziona più non tanto per mancanza di risorse (in Europa si spende per la sanità l’8% del Prodotto interno lordo mentre in USA addirittura il 16%): quanto per mancanza di una riorganizzazione dell’amministrazione della salute e di una riparametrazione dell’appropriatezza nelle prescrizioni, nei controlli, nella riallocazione delle risorse, nell’informazione alla popolazione. A quest’ultima, poi, va posta l’importante domanda di fondo se la società occidentale sia disposta a pagare di più per avere farmaci innovativi e per tutelare un diritto di accesso ai farmaci essenziali e salvavita di qualità appropriata come privilegio quasi esclusivo di una parte minoritaria della popolazione mondiale.

Inoltre, il fascino intellettuale e talora estetico degli aspetti disciplinari tecnico-scientifici precedentemente descritti si coniugano con l’ideale per molti scienziati di trovare nuovi farmaci con l’applicazione delle conoscenze, con la riflessione, il calcolo, la costruzione di un modello; di fabbricare le sostanze concepite in tal modo e di controllarle su un organo isolato, sull’animale e poi sull’uomo con una percentuale di errore e di tentativi nulla o quasi.

A tal proposito, però, ritengo non vada sottaciuto che, talvolta, è affiorata, in passato almeno, una sorta di manicheismo di alcuni scienziati che oppongono la bellezza di una invenzione fondata sul ragionamento alla mediocrità di una scoperta per caso: una differenza incontestabile che ha caratterizzato non solo la storia dei grandi farmaci. Vi è stato, ad esempio, un chimico che in modo sprezzante definì “non elegante” la scoperta delle benzodiazepine perché dovuta alla fortuna. D’altro canto, Pasteur affermava che “il caso favorisce soltanto le menti preparate”. Dopo tutto, si faceva il bagno ben prima di Archimede, ma occorreva il suo genio per ricavare da un bagno una teoria sulla spinta dei liquidi; altri, oltre a Newton, hanno visto cadere le mele senza arrivare alla forza della gravità; Papin, infine, come tutto il resto dell’umanità, avrebbe potuto guardare il coperchio della pentola sollevato dal vapore senza dedurne il principio del motore a vapore.

La ricerca dei farmaci moderni si è decisa ad organizzare l’imprevisto con il metodo del “setaccio”: dopo una prima scelta, chiaramente ragionata, si brancola metodicamente; si provano migliaia di sostanze “imparentate” tra loro per verificarne l’eventuale attività  ed il relativo meccanismo di azione. Ancora, da un prevalere in passato di esperimenti hypotesis driven basati, cioè, su ipotesi molto precise, oggi ci si basa soprattutto sui mezzi tecnologici a disposizione per analizzarne successivamente i dati derivati disponibili.

D’altro canto, va anche considerato che non infrequentemente una teoria può addirittura essere definita assurda dalla comunità scientifica. La domanda che in genere si pongono filosofi e storici della scienza è come faccia allora uno scienziato a non soccombere. Le loro risposte generano vere e proprie “guerre delle scienze”. Da un lato c’è chi sostiene che a vincere sono la logica, l’esperimento e l’aderenza alla realtà dei fatti e che i fattori psicologici e sociali non c’entrano nulla. Dall’altro i costruttivisti postmoderni spiegano tutto in termini di consenso e di lotte di potere: le presunte verità scientifiche non sarebbero altro che “costruzioni sociali”. In effetti è verosimile che un po’ di torto ce l’abbiano entrambi.

Il filosofo della scienza Paul Thagard ha mostrato che, se da un lato non c’è stata una prova schiacciante della validità della teoria, dall’altro è assente ogni questione di potere o di costruzione del consenso (magari indotta dagli interessi delle case farmaceutiche). Semplicemente la teoria, pur ancora lacunosa, progressivamente raggiunge una maggiore “coerenza esplicativa” rispetto alle ipotesi rivali e si guadagna sul campo il consenso della comunità degli specialisti anche grazie ad un modo efficace di organizzare le consensus conference. I fattori sociali contano ma la realtà anche: l’obiettività non è una chimera.

Ripercorrendo la storia delle vittorie su grandi e storiche malattie, su tutto quello che fino a pochi decenni fa’ funestamente ci insidiava rendendoci impotenti di fronte alla sofferenza e alla morte, ci pervade la consolazione di chi rivive, ma vittoriosamente, una vita già vissuta angosciosamente nelle profondità dell’inconscio.

Dalla storia dei farmaci, ancora, non è difficile trarre l’insegnamento che la scienza vera è benefica ed unisce gli uomini.

La scienza che vince la sofferenza, poi, è la scienza che più si ama e per la quale si può anche accettare di buon grado lo scientismo pedagogico e rispettoso della propria funzione al servizio dell’uomo.

Alla realizzazione del sogno prometeico, però, si accompagna il rischio di un affievolimento della identità propria del dato specifico di natura, derogando dalle antiche ed auree regole del “giusto” e del “mezzo”.

Nel settore farmaceutico tale rischio oggi si può concretizzare nell’abuso che talora si fa dei medicinali. Infatti, nel ricorso eccessivo alla prescrizione si rileva spesso una motivazione di ordine psichico anziché una obiettiva necessità di ordine terapeutico.

Tuttavia, avvertendosi di non poter affatto prescindere obiettivamente e realisticamente da una doverosa valutazione lato sensu e in termini più oggettivamente critici, rifacendosi alle autorevoli considerazioni del Premio Nobel per la Chimica Roald Hoffmann, non ci si dovrebbe assolutamente sottrarre dal tenere a mente che la scienza chimica e, pertanto, anche quella farmaceutica, hanno come proprio centro la sintesi, il cui contesto va riconosciuto che non è separabile dalla considerazione delle conseguenze etiche di ciò che viene creato. In altre parole, la chimica è la scienza antropica per antonomasia: le molecole possono guarire o ferire. Ne deriva che i chimici sono tenuti a partecipare al dibattito etico con il resto della società. Nonostante molti lo facciano obtorto collo(23)”.

Mentre l’alambicco sembra essere appena dietro l’angolo, dunque, auspicando che la voce della professione farmaceutica possa ancora essere chiaramente udita nei prossimi millenni, la memoria del tempo è arricchita da una valanga di nuove irripetibili intuizioni dalle cui formidabili applicazioni ed implicazioni si spera, lungi da uno scientismo comprovante l’inutilità di Dio e da promesse di vita eterna su questa Terra o dall’illusione di onnipotenza umana e pur nel confronto tra prassi e filosofie esistenziali alternative, che l’umanità resti sempre nobilitata e nella responsabilità di vivere in libertà e consapevolezza della irripetibilità spirituale di ciascuno.

Dio ha creato il mondo come un giardino rigoglioso, fitto di alberi, pullulante di sorgenti, costellano di prati e di fiori. Là ha deposto gli uomini e le donne ammonendoli: “A ogni cattiveria che commetterete io farò cadere un granello di sabbia in questa immensa oasi del mondo”. Ma gli uomini e le donne, indifferenti e frivoli, si dicono:  “Che cos’è mai qualche grano di sabbia in una così immensa distesa di verde?”. E si mettono a vivere in modo fatuo e vano, perpetrando allegramente piccole e grandi ingiustizie. Essi non s’accorgono che, ad ogni loro colpa, il Creatore continua a calare sul mondo i granelli aridi della sabbia. Nascono, così, i deserti che di anno in anno si allargano stringendo in una morsa mortale il giardino della terra, tra l’indifferenza dei suoi abitanti. E il Signore continua a ripetere: “Ma perché mai le mie creature predilette si ostinano a rovinare la mia creazione con tanta leggerezza e superficialità?”.

Questa antica parabola araba è il ritratto simbolico della storia umana, segnata appunto dall’indifferenza, da una sorta di atonia morale che rende la società e la stessa terra una steppa desolata in cui uomini e donne si agitano in modo frenetico e insensato(24).

Che stia davvero accadendo, come affermava un famoso pastore battista americano, che ormai il nostro potere scientifico ha superato la nostra forza spirituale e che abbiamo guidato bene i missili e male gli uomini(25)?

Certamente in questi decenni emerge con evidente drammaticità una crisi di cultura e identità in cui l’Occidente versa. E’ auspicabile che l’uomo stia in guardia affinchè sfugga alla tentazione di “lasciarsi prendere dal gusto della scoperta” scientifica senza “salvaguardare i criteri che vengono da una visione più profonda”. Senza la verità di Cristo non trova spazio neanche la libertà. E se mancano valori saldi è facile cadere nel dramma di Icaro: figlio di Dedalo “preso dal gusto del volo verso la libertà assoluta e incurante dei richiami” avvicinandosi al sole cade rovinosamente al suolo “dimenticando che le ali con cui si era alzato verso il cielo erano di cera”. La caduta rovinosa e la morte “sono lo scotto che egli paga a questa sua illusione”. “La favola antica ha una sua lezione di valore perenne. Nella vita vi sono altre illusioni a cui non ci si può affidare, senza rischiare conseguenze disastrose per la propria ed altrui esistenza(26)”.

In ogni caso, consapevole che nella storia non esiste nulla che ci assicuri che i grandi dilemmi morali possano essere risolti senza dolore e tenendo a mente che il senso della storia sta negli uomini che la fanno, mi appare condivisibile l’augurio che il futuro ci giudichi con la stessa indulgenza e carità con cui noi oggi dobbiamo giudicare gli uomini del passato.

 

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(1) Intuizione originatasi dalle crescenti esigenze soprattutto della Fisica a metà degli anni Settanta in cui una delle teorie più interessanti di questa disciplina era quella della Cromodinamica quantistica (Qcd) che descriveva la cosiddetta interazione forte di cui la maggior parte del lavoro teorico era affidato a modelli reticolari quadrimensionali che comportavano drammatiche difficoltà di calcolo e richiedevano l’uso di potenze di calcolo dell’ordine di decine di Teraflop.

(2) Ne sono un esempio Avanstin (bevacizumab), primo inibitore dell’angiogenesi (affama tumori), Herceptin (trastuzumab), farmaco per la cura del tumore al seno Her2 positivo e Mabthera (rituximab) per la cura dei linfomi non-Hodgkin e dell’artrite reumatoide, tutti farmaci biotecnologici, arrivando fino agli inibitori della della polimerasi e proteasi, enzimi per la cura delle epatiti virali.

(3) Ma non sempre determinati brevetti sono stati concessi altrove da altri enti: ad esempio, i geni BRCA1 e BRCA2 che predispongono al cancro del seno, non è stato concesso dall’European Patent Office.

(4) Estrapolazioni rimaneggiate ed adatate tratte dall’Absstract del libro di Michael Crichton - Next, Editore Collins Gem, 2007; traduzione di Sylvie Coyaud per Sole 24 Ore - Domenica 4 marzo 2007, n.62.

(5) La Commissione Europea che finanzia l’Istituto per il 50% ha raddoppiato il suo contributo nel 2007 portandolo a 26 milioni di euro; il secondo finanziatore è l’Istituto Superiore di Sanità degli Stati Uniti NIH, seguito dal Wellcome Trust, la più grande charity biomedica mondiale, dal Governo britannico e dall’industria.

(6) I primi frutti anche per i malati non dovrebbero tardare a venire. Alcuni farmaci di nuova generazione, come l’antitumorale Gleevec, sono già sul mercato e molte altre molecole inibitrici della chinasi sono nelle pipeline di sviluppo farmaceutico. La parte più delicata rimangono però le questioni etiche e legali perchè necessitano “dati sempre più precisi sui pazienti, sui loro campioni biologici e sull’evoluzione della loro patologia, ma la privacy degli individui va tutelata accuratamente” (Janet Thornton, direttrice dell’EBI; dal colloquio con Guido Romeo pubblicato su Nova 24 del 22 marzo 2007).

(7) Daniel Lapeyre, La ricerca farmaceutica è fondamentale, .ICT & tech solutions, novembre 2005.

(8) Rossi Guido, “Dalla Compagnia delle Indie al Sarbanes-Oxley Act”; intervento del 10 novembre 2006 al Convegno Internazionale “La società per azioni oggi, tradizione, attualità e prospettive” della Fondazione Cini di Venezia.

(9) Ambito di indagine in cui si studiano le ricadute di valore terapeutico e industriale delle scoperte della ricerca di base.

(10) Bernacchi Aldo - Biotech, rinascimento all’italiana - Sole 24 Ore n.209 del 01 agosto 2006.

(11) Per spin off accademico si intende una società di capitali, partecipata da persone fisiche e giuridiche, ivi incluse le strutture dell'Ateneo e personale docente e di ricerca, avente ad oggetto la realizzazione e la commercializzazione di prodotti e servizi ad elevata componente innovativa, ovvero corrispondente alle tipologie di attività richiamate dal DL 297/1999.

(12) Sergio Dompé, Presidente di Farmindustria. Ibidem.

(13) Rino Rappuoli (tra i fondatori della biologia molecolare), capo della ricerca Chiron-Novartis. Ibidem.

(14) Website Farmindustria.

Millward Brown Elfo per conto di Google Italia, costola italiana del più importante motore di ricerca mondiale, e della casa editrice medico-scientifica Edra in rapporto di collaborazione con il motore di ricerca sui temi della salute e della sanità.

(15) Ricerca di Maurizio Dallocchio e Leonardo Luca Etro sul tema “Quali prospettive per il settore farmaceutico in Italia?”,  Centro Findustria dell’Università Bocconi di Milano,  2007.

(16) Dal 2001 +32% cumulato, rispetto a +19% dell'industria.

(17) Sergio Dompè, Presidente Farmindustria.

(18) Fonte Ims.

(19) Website Farmindustria.

(20) Website Farmindustria.

(21) Niccolò Ferretti, partner Studio di Diritto Industriale in Milano (fonte: Nova 24 Il Sole 24 Ore, n.62, 01 febbraio 2007, pag. 1).

(22) Veronesi Umberto, oncologo, già Ministro della Salute (Milano, marzo 2007).

(23) Scienza e Filosofia - Epistemologia, “La bellezza della Chimica”; Il Sole 24 Ore: Domenicale 07.01.2007, n.6, pag. 33.

(24) Ravasi Gianfranco, Breviario laico, 366 riflessioni giorno dopo giorno, Introduzione, Mondadori, 2006.

(25) Martin Luther King Jr. (1929-1968).

(26) S.S. Papa Benedetto XVI (Discorso all’apertura dell’anno accademico 2006-07 della Pontificia Università Lateranense, ottobre 2006).

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Abstract da:

Raimondo Villano “La cruna dell’ago: meridiani farmaceutici tra etica laica e morale cattolica” - 2^ edizione (patrocinio Chiron Foundation, Praxys dpt, Ed. Effegibi, pag. 393, settembre 2008).

 

 

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