Stampa

Segnala

Abstract :

A20. L'arte e la farmacia

 “Quali sono i vasi convenienti

per conservare bene le medicine?

Quelli che possono custodirne le virtù

Saladino d'Ascoli,

Compendium Aromatariorum (Particola 7)

 

 L’arte e la farmacia

 L’Arte è l’espressione estetica della Storia. Tra le arti e la memoria, in effetti, la parentela è grande e sovente riconosciuta, almeno nelle civiltà occidentali definibili come quelle in cui il destino si è legato, nel bene e nel male, al pensiero concettuale.

Già presso i Greci, infatti, Mnemosine, la memoria, era la madre delle arti. Platone, inoltre, nella Repubblica ritiene che le immagini che adornano permettono attraverso i sensi di elevarsi al bello “vestibolo del bene”.

Le opere d’arte, come è noto o intuibile, integrano e soddisfano la nostra fame di senso ed il bisogno di orientarci nel mondo, scandendo e solennizzando i principali eventi dell’esistenza. Esse, ancora, mostrano come l’uomo non sia solo un animale razionale ma possegga anche un’immaginazione che trascende la realtà immediata e non gradisce lacune nell’interpretarla.

L’iconofilia, dunque, fa ritenere che le immagini, rammemorazioni di un evento storico, trasmettano una conoscenza immediata e totale, non discorsiva. Molti artisti hanno nei secoli tratteggiato o citato anche gli speziali ed i farmacisti nelle loro opere descrivendone, evidenziandone o raffigurandone personalità, attività, clientela, situazioni e relazioni, ambienti e strumenti professionali e, finanche, composizioni di loro preparazioni medicinali.

Questo capitolo, dunque, vuole essere un contributo introduttivo e descrittivo, lungi da alcuna pretesa di esaustività, per la conoscenza dei legami, talora anche forti, esistenti tra alcune delle rappresentazioni e citazioni artistiche della professione farmaceutica e le epoche in cui furono concepite ed elaborate.

Dalla fine del XVI secolo, avendo la Chiesa una grande influenza ed essendo l’unica fonte di cultura accessibile a tutti, sovente vengono commissionate immagini di santi sui vasi di farmacia in modo che il messaggio del potere taumaturgico del loro contenuto medicamentoso sia agevolmente recepibile. Talora gli speziali più famosi commissionano addirittura l’apposizione della loro immagine su contenitori o vasi.

In effetti, queste opere, dal richiamo religioso iconograficamente diretto, esercitano un’ulteriore azione, sia pur involontaria, più o meno subliminale: rientrando nella “categoria della bellezza”, “concorrono ad educare l’uomo della secolarizzazione al mistero di Dio”.

Tutto ciò, è opportuno evidenziare, in un epoca in cui sono diffusi l’alchimia, la ciarlataneria, le credenze popolari, la stregoneria, la magia e la superstizione. È noto, infatti, che “la bellezza genera stupore e la meraviglia anticipa la ragione offrendole particolari per elaborare concetti”.

Tali opere costituiscono, dunque, anche un ricorso “agli insegnamenti dei Padri della Chiesa che dialogavano con popoli dalle credenze diverse ed ignari dell’annuncio evangelico”.

Praticamente, si realizza un’applicazione estesa del concetto della via pulchritudinis di ispirazione patristica che genera un efficace avvicinamento al Cristianesimo. È, quindi, l’esperienza della bellezza che rafforza la scelta a favore della Chiesa utilizzando l’arte come “strumento per fissare il mistero del bello in un’icona che possa accompagnare ogni istante dell’esistenza e diventare pedagogia nel tempo della storia”.

È, ancora, l’arte che “mostra nella sua materiale fisicità le espressioni della trascendenza e dà concretezza alla fede(1)”.

Le qualità pittoriche e decorative di molti maestri vasai italiani hanno spesso trasformato in opere d’arte i vasi di farmacia, riconosciuti tra i più belli del mondo per decoro e manifattura.

Almeno un’annotazione a margine, inoltre, ritengo meritino le epigrafi sui vasi, fonte storica e filologica utile alla conoscenza dell’antico, il cui studio consente sia una analisi del puro testo che un esame globale dello stesso vaso collocato nella storia della società che lo ha elaborato (storia della scrittura, dei dialetti, dei nomi, delle persone, dei medicamenti, ecc.).  

È interessante, infine, considerare che a partire dalla seconda metà del XV secolo si diffonde l'uso di siglare la committenza, sovente sotto il cartiglio recante la scritta del medicamento: fino alla fine del Medioevo, infatti, i vasi da farmacia non hanno alcuna iscrizione o emblema monastico.

Numerosi sono i siti manifatturieri di maioliche d’arte famosi in Italia.

La scuola di Castelli, in provincia di Teramo in Abruzzo alle falde del Gran Sasso, la cui origine risale ai monaci benedettini di San Salvatore che intorno all’anno mille si insediano in quelle contrade sotto la tutela dei Conti di Pagliara. Da quel momento e fino al Quattrocento inoltrato la produzione ceramica contempla una ricca realizzazione di ingobbiate, dipinte, graffite e invetriate.La produzione di maioliche vere e proprie non comincia prima degli inizi del Cinquecento, con l’impiego dello smalto stannito introdotto dai contatti con la cultura ispano-moresca. Nel Seicento e nel Settecento la lavorazione raggiunge i massimi livelli con maioliche ricche di riferimenti iconografici agli ordini monastici, a vedute lacustri e montane o scene bucoliche ed alle casate nobiliari, napoletane in particolare, tra i più importanti committenti della scuola castellana. Inoltre, personalità di spicco dellafamiglia Gentili riescono a tradurre brillantemente su ceramica numerose tematiche figurative di storia sacra e contemporanea, di mitologia e paesaggi fornendo di vasi da farmacia per importanti complessi monastici ed ospedalieri.Verso la metà del ‘500, poi, il pittore G. Mancini, detto il Frate, porta a Deruta la tipologia della pittura istoriata, cioè la riproduzione su piatti e vasi di scene di ispirazione mitologica o sacra.Celebre, ancora, è la manifattura cerretese di Nicola Giustiniani, capostipite di una dinastia di ceramisti, che appronta vasellame raffinato destinato alle spezierie dei monasteri (come, ad esempio, l’Abbazia benedettina di Loreto di Monte Vergine in provincia di Avellino). La maiolica napoletana, poi, si impone con vasellame ricco di  decorazioni a smalti policromi che arricchiscono i vasti ambienti delle spezierie del Santuario della Madonna dell’Arco, del Convento di S. Domenico Maggiore, della Certosa di San Martino, del Monastero dei Santi Severino e Sossio, come in quella settecentesca degli Incurabili; il corredo di quest’ultima costituisce uno stupendo esempio del decorativismo settecentesco napoletano: una prima serie di idrie ed albarelli (240 vasi circa, di varie misure) decorati con paesaggi e figure in chiaro scuro turchino (camaieu bleu); alcuni vasi recano lo stemma della Santa Casa degli Incurabili; un raro ed intatto corredo di oltre 400 vasi policromi di maiolica istoriati di cui i più grandi recano dipinte scene bibliche mentre nei più piccoli sono rappresentate allegorie delle virtù, delle stagioni e del lavoro. Le storie dipinte sui vasi sono quelle dell’Antico Testamento; la loro fonte iconografica è identificabile nelle incisioni a stampa tratte dagli affreschi di Raffaello nelle Logge Vaticane(2). Nella maiolica siciliana dei secoli XVI e XVII, poi, ritroviamo lo stemma dell’Ordine dei Domenicani e dei frati della Compagnia di Gesù; inoltre, sono spesso dipinti i Santi invocati tradizionalmente contro le malattie più frequenti: San Francesco che riceve le stimmate, San Sebastiano martire invocato contro le malattie più gravi, San Lorenzo (di solito con la graticola e la palma del martirio),  Sant’Antonio Abate, Santa Lucia, Sant’Agata. Spesso il soggetto dipinto è associato al medicamento: Sant’Agata, ad esempio, è raffigurata su una boccia (possibile  contenitore di un unguento contro le malattie al seno) con le tenaglie in mano a ricordarne il martirio; Sant’Antonio abate, invocato per le sue proprietà taumaturgiche contro le affezioni cutanee, è rappresentato su un cilindro palermitano; Santa Rosalia, invocata contro la peste, è rappresentata in medaglioni di bocce probabilmente per la teriaca, medicamento appunto contro il morbo.Nella produzione albissola, cittadina risalente al 1600 il cui nome deriva dall’insediamento romano di Alba Docilia, troviamo collezioni “bianco e blu” mitologiche, floreali e cosiddette di “San Paolo”, in quanto riferite all’omonimo ospedale di Savona.Pregevoli ceramiche siciliane(3), infine, sono copiosamente presenti nella farmacia della Sacra Infermeria del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Prendendo, poi in considerazione la farmacia, molteplici sono i modi in cui nel corso dei secoli la sfera estetica o storico artistica l’ha intesa nella sua accezione di luogo fisico. L’idea di concepire un “arredo”, di dotare cioè di un insieme di mobili lo spazio della sala vendita delle antiche spezierie, nasce, probabilmente, in contemporanea al sorgere di quest’ultima all’interno di strutture monastiche o assistenziali. Per arredo, più precisamente, si intende quell’insieme di scaffali, armadi, stigli, dotati di vetrine o aperti, di cassetti e sportelli, spesso concepiti con una progettualità unitaria insieme al banco di vendita, posti a rivestimento della parte della farmacia visibile, aperta al pubblico, cioè la sala vendita. All’inizio si tratta di un arredo spoglio che concepito soprattutto per assolvere alla funzione di conservare le sostanze medicamentose e curative che i rari oggetti ceramici o vitrei contengono. Del resto spogli ed essenziali sono anche gli arredi coevi delle case, stando alle rarissime e preziose immagini che i documenti figurativi hanno consegnato alla nostra attenzione. Con il passar del tempo un’attenzione estetica si delinea intorno all’arredo di farmacia. Questo fenomeno raggiunge il suo culmine nel XVIII secolo e dà vita a veri e propri capolavori dell’arte lignea che con la fastosità e la ricchezza della decorazione, la qualità e la lavorazione del legno(4).

Spesso i locali sono contrassegnati anche da bizzarri ornamenti quali coccodrilli impagliati talora appesi alla volta, delfini(5) appesi anch’essi al soffitto o usati come insegna dal XVIII secolo, corazze di tartarughe, serpenti e animali esotici che, incuriosendo, contribuiscono a creare un’atmosfera misteriosa, rafforzando nei clienti un timore reverenziale; altri elementi tipici di ornamento sono il mastodontico mortaio di marmo innanzi l’uscio e il torchio.Molto importanti e belle, poi, sono anche le insegne, recanti la denominazione e gli emblemi delle spezierie, per lo più consistenti sia in tavolette di legno scolpite o dipinte su fondo dorato sia in tabelle di ferro anch’esse dipinte a colori vivaci. 

Non infrequentemente, poi, la Farmacia è presente nella musica; tra le opere ricordiamo “Lo speziale” e “Il signor dottore” di Carlo Goldoni, “L’elisir d’amore” e “Il campanello dello Speziale”, “O Guarracino” di Anonimo e “La Boheme” di Ruggero Leoncavallo. Nella scultura si rammentano, inoltre, l’“Apoteker preparatore” di Baden e “Pharmacie bretonne” di Daniel Spoerri.

Nela Letteratura e nel Teatro hanno citato l’arte della farmacia e il farmacista “Le mille e una notte”,  Boccaccio nel “Decameron”, Margherita d’Angoulême con “L’Heptaméron”, Guillaume Bouchet  in Sérées”, William Shakespeare in “Romeo e Giulietta, Miguel de Cervantes Saavedra nel “Don Chisciotte”, Molière nel Malade imaginaire, Guido Gozzano con “Il commesso farmacista” e con La signorina Felicita ovvero la Felicità, Renato Fucini con “La Fatta”, Gustave Flaubert  in “Madame Bovary”, Giovanni Verga ne “I Malavoglia” ed in  “Mastro Don Gesualdo”, Emilio Praga con “Memorie del Presbiterio”, Trilussa neLa ricetta magica”, Gustave Flobert con Madame Bovary” e Mario Tobino ne “Il figlio del Farmacista”.

Numerosissime, poi, sono le opere figurative (dipinti, incisioni, stampe, ecc.).

Va considerato, infine, che nelle opere d’arte, tutt’altro che di rado, ovviamente, vi sarebbero anche messaggi che ci vengono trasmessi e di cui occorrerebbe enuclearne il senso e comprenderne le implicazioni cogliendovi più profondamente la trama della nostra identità professionale.

Ma per una siffatta analisi doverosamente rimando al campo più proprio dello specialista o del cultore.

Ritengo, tuttavia, sia da considerare anche il fatto che, rispetto alla precisione, univocità e perspicuità del linguaggio concettuale, le opere d’arte, come i miti, sono “pluridimensionabili”: il termine greco mithos, infatti, sembra avere la stessa radice del latino mutus e, dunque, un’opera oltre che “parlarci” al tempo stesso tace, “con un’alchimia del dicibile e dell’indicibile che rinvia all’articolazione di entrambi e con il detto che campeggia sullo sfondo tacito del non detto, dell’ineffabile, di ciò che non siamo in grado di esprimere compiutamente, non perché non si può dire ma perché non si finirebbe mai di dire(6)”.

 

_________________

(1) Santambrogio Giovanni, La bellezza di una faccia (recensione a: “Volti di Cristo” di Gerard Wolf & Ludovica Sebregondi, Vallecchi, Firenze, 2007), Religioni e Società, Sole 24 Ore, Domenicale, 18 marzo 2007, n. 76, pag. 43.

(2) R. Villano “Il profumo del tempo-Cenni di Arte e Storia della Farmacia”, capitolo Vasi; cd-rom multimediale (2^ edizione, 1^ ristampa, patrocinata dall’Accademia Italiana di Storia della Farmacia, con presentazione del Presidente AISF Antonio Corvi, e dal Distretto 2100-Italia Rotary International; Ed. Eidos, 607 Mb - 146 file - 62 colonne sonore - 895 diapositive - 1248 pagine; Firenze, dicembre 2002.

(3) Caltagirone, in Sicilia, deriva addirittura il suo nome dall’attività cui gran parte della popolazione è dedita, la produzione della ceramica: “qal’atghàrum” ovvero collina dei vasi o vasai.

(4) Giordano Maria Rosaria, Evoluzioni storiche essenziali della Farmacia e sue prospettive, Università Federico II di Napoli, Facoltà di Farmacia, Tesi compilativa in Farmacognosia, a.a. 2003-04.

(5) Simbolo cristologico e considerato, al pari del serpente, emblema di salute fisica e salvezza spirituale.

(6) Remo Bodei (2005).

_________________

Abstract da:

Raimondo Villano, Trattato di Storia della Farmacia Strutturalismo e ontologia - uomini ed opere - aspetti tecnici, artistici e culturali - virtù, etica ed estetica; Ed. Chiron, volume 2°, pagg. 603-605, maggio 2014.

 

Gli antichi vasi di farmacia

 hanno un fascino strano,

hanno una vita,

tanto che noi oggi non sappiamo disgiungere

l’impressione visiva di una farmacia,

sia pure umile e modesta,

da quella dei vasi che l’adornavano

Gabriele D’Annunzio

Scarica l'allegato


Condividi su Facebook


Chiudi