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Abstract :

A05. Riflessioni sulle recenti criticità dell'Istituto della Farmacia

Niente ha il potere

di allargare tanto la mente

quanto l’investigazione sistematica

 dei fatti osservabili

Marco Aurelio

 

Riflessioni sulle recenti  criticità dell’Istituto della Farmacia

 Nel 1975 la Commissione di studio sulle prospettive della professione istituita dall’associazione americana delle Facoltà di Farmacia dopo un lavoro biennale pubblica il documento Pharmacist for the future noto anche come Millis Report dal nome del Presidente della Commissione John Millis, rettore dell’Università di Cleveland in Ohio.

Tale Rapporto osserva una discontinuità tra “la generazione di conoscenze sui farmaci e l’applicazione di queste conoscenze nell’uso clinico” e individua la causa di ciò nella mancanza di collegamento tra le due forze agenti: l’industria, che fa ricerca e produce farmaci a solo scopo di lucro, e il governo, che regola l’utilizzo dei due farmaci ma non dà orientamento culturale al medico sulle loro caratteristiche. I farmacisti costituiscono una terza forza che stabilisce comunicazione tra le due e la farmacia è definita un “sistema che fornisce un servizio mediante la conoscenza dei farmaci e dei loro effetti”. Lo sviluppo di questa forza dovrebbe essere nella costruzione del farmacista clinico, professionista indirizzato non al farmaco ma “al paziente che usa il farmaco”. Chi sia il farmacista clinico, dunque, in quest’epoca non è chiaro e la stessa Commissione ammette la difficoltà di definirlo(1) e lo descrive così: “Gli anni Sessanta hanno visto un movimento crescente verso un concetto di farmacia clinica non ancora chiaramente definito (…). Il termine farmacia clinica è stato usato per la prima volta da un gruppo di farmacisti impegnati in un centro di informazione sui farmaci in fase di ricerca. Successivamente è stato utilizzato per denominare una grave varietà di ruolisvolti da singoli farmacisti, da gruppi e da istituzioni (…).

Al presente è possibile solo descrivere l’area come uno spettro di attività (…). Ad un estremo dello spettro c’è un farmacista nella farmacia aperta al pubblico: questo farmacista integra la dispensazione del farmaco con frequenti consultazioni con edici e una stretta comunicazione col paziente; la comunicazione include il rafforzamento delle istruzioni già date dal medico sulla somministrazione, dose e tempi; le possibili interazioni con altri farmaci, con cibo, con alcool; le aspettative di  efficacia e di tossicità. All’altro estremo dello spettro c’è il farmacista ospedaliero che segue il medico in corsia e che partecipa regolarmente alla prescrizione farmaceutica; che sorveglia la risposta del paziente alla terapia, che registra i dati sull’utilizzazione del farmaco e sugli effetti, che partecipa attivamente alla formulazione di protocolli terapeutici e linee guida, che fornisce informazioni sui farmaci a medici, infermieri ed altri professionisti sanitari (…). Tra questi due estremi ci sono tutte le altre forme che svolgono, in maggiore o minore misura, le attività descritte”. Il Rapporto Millis, inoltre, non ha dubbi sulla necessità di istituire una remunerazione al farmacista che almeno parzialmente abbia la forma di parcella professionale ritenendo che fin quando il farmacista è pagato in proporzione al costo del farmaco il pubblico non potrà capire di aver ricevuto una prestazione e lo tratterà come un comune commerciante(2).

Il 30 dicembre 1992 è varato il Decreto legislativo n. 541 che, nel quadro dell'attività di informazione e presentazione dei medicinali svolta presso medici o farmacisti, vieta (art. 11 p.to 1) la concessione, l’offerta o promessa di premi, vantaggi pecuniari o in natura, salvo che siano di valore trascurabile e siano comunque collegabili all'attività espletata dal medico e dal farmacista mentre per i medicinali inclusi nel Prontuario Terapeutico del Servizio Sanitario Nazionale oggetto di promozioni illegali dispone (art. 15 p.to 2) che l’irregolarità comporti la sospensione del medicinale dal Prontuario stesso per un periodo di tempo fino a  due anni. Questo Decreto interviene, dunque, ad arginare ulteriormente il fenomeno del comparaggio di medicinali che può condizionare, come non di rado di fatto emerge dalla cronaca, in misura tutt’altro che irrilevante a livello socioeconomico non solo le comunità e gli enti locali bensì finanche il sistema Paese soprattutto per il costo economico che riversa sul Sistema Sanitario Nazionale e perché rappresenta un serio pericolo capace di incrinare il rapporto di fiducia del cittadino non solo nei confronti degli attori professionali coinvolti nelle truffe, ovvero medici, farmacisti, strutture pubbliche e private accreditate, ma anche, tangenzialmente almeno, delle loro rispettive entità corporative e di rappresentanza nazionali. Nel contempo, tuttavia, tale Decreto costituisce anche l’inizio  del processo sottotraccia di deregolamentazione della Farmacia in quanto definisce i medicinali che possono essere oggetto di pubblicità nei confronti del pubblico: un primo passo nella direzione di una trasformazione di taluni medicinali in beni di consumo il cui acquisto è stimolabile dalla pubblicità.

Negli anni Novanta alcuni Comuni decidono la privatizzazione delle farmacie di cui sono titolari, creano delle società per azioni per la gestione delle farmacie comunali e successivamente procedono alla cessione di quote di maggioranza di tali società a multinazionali della distribuzione intermedia del farmaco. Federfarma critica duramente tale forma di privatizzazione asserendo che in tal modo si rischia di far passare in secondo piano l’esigenza primaria di tutelare la salute dei cittadini rispetto agli interessi di soggetti forti che operano con finalità prevalentemente commerciali e che, avendo la possibilità di controllare sia la distribuzione intermedia che quella finale del farmaco, potrebbero essere indotti a orientare i consumi di farmaci a proprio favore. Proprio per evitare questo rischio la legge impedisce ai farmacisti che sono soci di società che gestiscono una farmacia di svolgere altre attività nel settore del farmaco.

Nel 1995 si ha l’inizio di un’estesa concorrenza tra farmacie quando l’associazione delle farmacie comunali decide di applicare uno sconto del 10 per cento sui prezzi al pubblico indicati dai produttori di latte e alimenti per la prima infanzia.

Nel 1996 in Italia, allorquando le strutture sanitarie avviano la trasformazione aziendale, si           inizia a  parlare  di esternalizzazione  dei  servizi e delle  funzioni di  competenza  della  Farmacia Ospedaliera quale scelta strategica tesa a migliorare l’efficienza del Sistema Sanitario Nazionale ed a onseguire una economia di gestione. La terziarizzazione di talune attività, infatti, avrebbe dovuto consentire alle Aziende Sanitarie Locali di incentrare il know how aziendale sul potenziamento delle competenze services core affidando in outsorcing i servizi complementari. Di fatto, il processo di esternalizzazione finisce per coinvolgere l’attività di varie strutture sanitarie compreso la stessa farmacia privata benché non per effetto di un confronto o di una metabolizzazione interni alla Categoria. Nei nuovi modelli gestionali ASL, fondati su competenze di flussi, meccanica, economia, la distribuzione del farmaco diventa, in effetti, un’attività logistica ed in quanto tale verosimilmente trasferibile a terzi.

Nel 1997, ancora, è istituita presso il Ministero del Tesoro la Commissione Onofri che propone la fuoriuscita dalla farmacia dei farmaci da banco e la vendita di medicinali in esercizi diversi dalla farmacia in presenza di un farmacista. Nello stesso anno si registrano frequenti interventi dell’Autorità Antitrust tesi a proporre la liberalizzazione totale del prezzo dei medicinali a carico dei cittadini, l’eliminazione del monopolio delle farmacie sui medicinali non etici, il superamento del meccanismo della pianta organica, la modifica del meccanismo dell’ereditarietà, la revisione del sistema degli orari e turni di servizio nonché delle ferie, la revisione del divieto di pubblicità su prezzi e servizi.

Il 19 giugno 1999  con il decreto legislativo n. 229 (“Norme per la razionalizzazione del Ssn”, con gli art.16-bis, 16-ter e 16-quater, integra il decreto legislativo n.502 del 30 dicembre 1992 di riordino della disciplina in materia sanitaria) si realizza la pianificazione del progetto di educazione continua in medicina Ecm attraverso la definizione di obiettivi, il coinvolgimento di organismi istituzionali e l’organizzazione delle fasi e delle metodologie di sviluppo. In particolare: viene introdotto il concetto di formazione continua definita come attività di qualificazione in grado di garantire l’aggiornamento professionale (attività successiva ai corsi di laurea e di specializzazione); si collega la formazione continua alla partecipazione a corsi, convegni, seminari organizzati da provider (istituzioni pubbliche o private appositamente accreditate) le cui attività formative devono tenere presenti gli obiettivi stabiliti dai Piani sanitari nazionali e regionali; il singolo professionista, peraltro, è libero di scegliere, nell’ambito degli eventi proposti, un proprio percorso formativo.

Dal 1° gennaio 2002 in Italia è reso attivo l’Ecm, progetto di educazione continua in medicina (E.C.M.), già diffuso nella cultura di molti paesi d’Europa e oltre, che vuole essere la risposta alla continua evoluzione della medicina e alla rapida crescita delle innovazioni tecnologiche e organizzative. L’aggiornamento permanente delle categorie professionali che operano nel campo della sanità ha l’obiettivo di adeguare le conoscenze teoriche e arricchire le abilità tecniche maturate nel corso degli studi di base e di specializzazione

La formazione permanente e l’aggiornamento professionale sono stati ritenuti doveri ineludibili per ciascun operatore sanitario. Il programma nazionale di E.C.M. coinvolge tutto il personale sanitario, medico e non medico, iscritto all'Albo. Come operatore sanitario, dunque, anche il farmacista ha il compito dell’aggiornamento professionale e della formazione permanente, doveri richiamati anche dal codice deontologico della professione.

Il 4 febbraio 2003 la Corte Costituzionale con la sentenza n. 27/2003 su orari, turni e ferie ritiene pienamente legittima la Legge regionale della Lombardia n.21/2000 la cui regolamentazione di orari, turni e ferie era diretta “…ad assicurare il diritto alla salute, il diritto degli esercenti delle farmacie (condizionatamente al limite di utilità sociale) e l’efficienza del servizio pubblico farmaceutico…” (art. 32, 41 e 97 della Costituzione) e rileva che “…l’accentuazione di una forma di concorrenza tra le farmacie basata sul prolungamento degli orari di chiusura potrebbe contribuire alla scomparsa degli esercizi minori e così da alterare quella che viene comunemente chiamata la rete capillare delle farmacie”. In effetti la Corte ribadisce come il sistema di norme regolanti il servizio farmaceutico sia finalizzato a garantire il diritto costituzionale alla salute e non una protezione alla categoria dei farmacisti; in tale ottica la Corte, pertanto, evidenzia che l’introduzione nel sistema farmacia di elementi di concorrenza incontrollati come gli orari liberi possa ridurre il livello di garanzie assicurate ai cittadini; dalla sentenza, inoltre, appare nettamente l’importanza di assicurare la sopravvivenza delle piccole farmacie, particolarmente a rischio qualora si concretizzi un sistema concorrenziale incontrollato del tipo sopra descritto ed elementi chiave per garantire la capillarità del sistema farmacia e del servizio farmaceutico.

Il 24 luglio 2003 è deposita l’importante sentenza n. 275 della  Corte Costituzionale che afferma che la sovrapposizione di attività nel campo della distribuzione intermedia e finale del farmaco, che si determina nel caso di cessione delle farmacie comunali a soggetti che operano nel campo della distribuzione intermedia, dà luogo a un conflitto di interessi potenzialmente dannoso per la salute dei cittadini. Tale decisione della Corte determina di fatto una modifica dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara di appalto per l’affidamento della gestione delle farmacie comunali, influendo sull’esito della gara stessa. Entrando nel merito, inoltre, la Corte afferma che le incompatibilità previste per i farmacisti che gestiscono una farmacia in società (i quali non possono svolgere alcuna altra attività nel campo della produzione, distribuzione intermedia e informazione scientifica del farmaco) valgono anche per chi gestisce le farmacie comunali: dunque, i soggetti che operano nel settore della distribuzione intermedia del farmaco non possono gestire le farmacie comunali in quanto il conflitto di interessi che ne deriverebbe potrebbe andare a danno della salute dei cittadini(3). La sentenza della Corte ha conseguenze anche sulle iniziative analoghe promosse dagli altri Comuni.

Nel 2004, inoltre, la Commissione Europea dopo un’approfondita riflessione relativamente alla concorrenza nei servizi professionali, tra cui le farmacie, invita le professioni ad eliminare norme ritenute eccessivamente restrittive a favore di altre meno “protezionistiche”. Nel contempo, di contr’altare, nel processo della cosiddetta Direttiva dei Servizi Bolkestein tesa a favorire la concorrenza nei Paesi dell’Unione, il Parlamento Europeo  approva l’esclusione dall’applicazione del provvedimento del comparto dei servizi sanitari, tra cui a pieno titolo il servizio farmaceutico: una sostanziale legittimazione dell’importanza che il presidio farmacia non operi in un regime di libero mercato. La Commissione Europea, inoltre, avvia una procedura di infrazione contro il Governo italiano in materia di ereditarietà, incompatibilità, assetto proprietario e societario delle farmacie chiedendo, sostanzialmente, che sia consentito l’ingresso del capitale nella gestione delle farmacie e che la loro proprietà possa fare capo anche a non farmacisti.

Dal canto suo il Ministero  italiano in risposta alla  Commissione  non ne accoglie i rilievi affermando che qualsiasi misura tendente a favorire il prevalere di aspetti mercantili nel sistema farmaceutico è pregiudizievole per la tutela della salute e per la qualità del sistema.

Nel maggio 2005 il Ministro della Salute Francesco Storace, in un momento economico particolarmente difficile per le famiglie italiane, richiede uno sforzo comune da tutta la catena del farmaco e, in particolare, con Decreto n.87 sugli sconti farmaceutici si carica della responsabilità di mettere in competizione le farmacie generando laceranti diseguaglianze. La Farmacia, infatti, assume una connotazione nuova che vede stravolta la sua vita tradizionale ed approda ai lidi del liberismo più spinto: il prezzo del farmaco, certezza per il cittadino, uguale su tutto il territorio nazionale, prende la forma di un bene qualsiasi da mercanteggiare con il farmacista. Si costituiscono, pertanto, i presupposti per creare farmacie privilegiate (le grandi farmacie), che hanno la possibilità di praticare lo sconto, contro le farmacie di piccole dimensioni a conduzione familiare o le rurali che hanno come prospettiva quella di una probabile chiusura. Una tale forma di liberismo, all’insegna del “pesce grosso che mangia il pesce piccolo” pone, inoltre, seriamente i presupposti per la scomparsa del concetto di pianta organica(4).

Nel mese di marzo 2006 insieme ai suoi aderenti Federfarma studia ipotesi non formalizzate ma delineate a grandi linee discusse durante l’assemblea dei suoi 110 presidenti provinciali, ed inviate anche ai leader politici alla vigilia delle elezioni per capire la strada da intraprendere nei successivi cinque anni: ripulire le farmacie italiane dalle troppe cianfrusaglie in vendita sugli scaffali, che rischiano di trasformarla in un supermercato, mantenendo l'esclusiva sui farmaci; rendere il farmacista una figura di supporto nell'assistenza territoriale al paziente; rinunciare alla possibilità di ereditare la farmacia di padre in figlio. In effetti, è lo stesso Presidente Federfarma Giorgio Siri ad evidenziare che il ridisegno della farmacia per molti aspetti è cosa non più dilazionabile.

La Coop nello stesso periodo avanza la proposta di portare i medicinali di automedicazione nella grande distribuzione per far risparmiare i consumatori. Il Movimento Difesa del Cittadino (Mdc), poi, sostiene che le farmacie sono diventate dei veri e propri bazar con prodotti “miracolosi” per la cellulite o il dimagrimento, giocattoli, prodotti di bellezza, calzature ed auspica al più presto la liberalizzazione dei farmaci da banco nei supermercati.

Il sottosegretario del Ministero della Salute Cesare Cursi, dal suo canto, esprime invece la netta contrarietà del suo Dicastero alla vendita dei medicinali nei supermercati ritenendo che il farmaco fuori dalla farmacia diventerebbe un bene di consumo e non sarebbe più uno strumento di tutela della salute  e denuncia che esponenti del centrosinistra ed altri soggetti istituzionali e non continuano a sostenere la necessità che i medicinali da banco siano venduti al supermercato. In particolare, l’On. Cursi sostiene che il Ministero è contrario a qualsiasi intervento che tenda a ridurre le garanzie sanitarie a favore dei cittadini così come ribadito anche nella risposta alla Commissione Europea che chiedeva all'Italia di modificare le norme che oggi regolano il servizio farmaceutico per favorire l'ingresso di grandi operatori commerciali nella vendita dei farmaci e per permettere a non farmacisti di acquistare farmacie. Cursi, inoltre, aggiunge che piuttosto che spezzare il legame tra farmacia, farmacista e farmaco bisognerebbe rafforzare il legame tra farmacia e Servizio sanitario nazionale giacchè ai cittadini serve una farmacia sempre più professionale e sempre più vicina alle esigenze del territorio e, a tal proposito, in occasione della Conferenza Stato-Regioni ha sollecitato le Regioni a procedere rapidamente al rinnovo della Convenzione che regola i rapporti tra le farmacie e il Ssn affinché sia possibile definire nuovi servizi per i cittadini: ad esempio, d'intesa con i medici di medicina generale, portando assistenza a casa degli anziani o dei malati gravi individuati dalle Asl.

Angelo Zanibelli, presidente di Anifa, l’associazione delle aziende produttrici dei farmaci di automedicazione, nel corso di un suo intervento ad un incontro con gli imprenditori e le professioni promosso a Milano da Emanuela Baio Dossi e da Enrico Letta, candidati per la Margherita rispettivamente al Senato e alla Camera nei Collegi Lombardia e Milano,  invita a “sorvegliare perché la domanda di uscita del medicinale dal canale delle farmacie non sia un cavallo di troia per un attacco più profondo a questo sistema, di cui sicuramente bisogna riscrivere la regole, ma che deve essere difeso per il bene del cittadino e la tutela della salute”.

Nel giugno 2006 a Bruxelles la Commissione europea, che già in passato ha espresso una posizione fortemente critica sotto il profilo politico nei confronti dell'ordinamento farmaceutico italiano, si è occupata delle incompatibilità della normativa delle farmacie italiane con parti del Trattato Comunitario relativamente alla libertà di stabilimento di imprese (articolo 43) e di libera circolazione di capitali (articolo 56) decidendo il deferimento dell’Italia alla Corte di Giustizia Europea in quanto l'interpretazione e la modifica delle normative nazionali, attuata nell’aprile 2006 dalla Corte Costituzionale, non ha abolito il contrasto con le norme comunitarie.

I due punti della normativa nazionale contestati dalla Commissione sono: 1) Il divieto d'acquisizione di partecipazioni da parte di imprese aventi un'attività di distribuzione di medicinali (o legate a società aventi tale attività) in società farmaceutiche private o in farmacie comunali. La regolamentazione italiana come interpretata dalla Corte costituzionale e come recentemente modificata dal decreto 591/2006 del 26 aprile 2006 (articolo 100, paragrafo 2) prevede l'incompatibilità tra l'attività di distribuzione e l'attività di vendita al dettaglio di prodotti farmaceutici. Ciò comporta in particolare il divieto per le imprese attive (o legate a imprese attive) nella distribuzione farmaceutica di assumere partecipazioni in società che gestiscono farmacie comunali nell'ambito del processo di privatizzazione delle farmacie comunali iniziato in Italia negli anni '90 e che verrebbe compromesso dalle disposizioni di legge che fissano queste incompatibilità; 2) La riserva di titolarità di farmacie private ai soli farmacisti o alle sole persone giuridiche composte da farmacisti. La legge italiana vieta alle persone fisiche che non possiedono un diploma di laurea in farmacia o alle persone giuridiche non composte da farmacisti la titolarità di farmacie private che vendono al pubblico.

La Commissione, in effetti, ha ritenuto che “siffatte restrizioni possono essere considerate compatibili con il trattato CE soltanto quando sono giustificate da obiettivi d'interesse generale, necessari e proporzionati al raggiungimento di questi obiettivi. Le autorità italiane hanno giustificato queste norme invocando obiettivi di tutela della sanità pubblica; in particolare (riguardo alla all'acquisizione di partecipazioni da parte dei distributori) si vogliono evitare conflitti di interesse e (riguardo alla riserva di titolarità) si punta a un migliore controllo delle persone che consegnano i medicinali ai pazienti”. Secondo la Commissione, tuttavia, “le restrizioni contestate vanno al di là di ciò che è necessario per raggiungere l'obiettivo di tutela della salute. Da un lato, gli eventuali rischi di conflitti d'interesse possono essere evitati adottando misure diverse dal divieto puro e semplice - per le imprese legate a imprese attive nel settore della distribuzione farmaceutica - di assumere partecipazioni in farmacie che vendono al pubblico”. Inoltre, il comunicato ufficiale recita: “Alla Commissione è stato segnalato che in Italia si verificano numerosi casi d'esercizio dell'attività di distribuzione o di partecipazioni in società di distribuzione farmaceutica da parte di farmacisti titolari di farmacie private”.   D’altro canto, sempre secondo il testo ufficiale, “anche il divieto per chi non ha  la laurea in farmacia o per persone giuridiche non composte da farmacisti di essere titolari di una farmacia va al di là di ciò che è necessario per garantire la tutela della sanità pubblica, poiché sarebbe sufficiente esigere la presenza di un farmacista per consegnare i medicinali ai pazienti e gestire gli stock. La legislazione italiana, d'altronde, prevedendo che membri non farmacisti della famiglia di un farmacista deceduto possano essere titolari della sua farmacia, per periodi che vanno fino a dieci anni, riconosce che il requisito della qualificazione professionale non è assolutamente indispensabile e prioritario ai fini della proprietà di una farmacia(5)”.

Il 30 giugno 2006, tra  le  reazioni  di stupore,  rammarico e  preoccupazione   della Federazione  degli Ordini dei Farmacisti Italiani, sono approvate dal Consiglio dei Ministri per Decrerto Legge le Nuove Norme sulla Concorrenza e i Diritti dei Consumatori, note anche come Pacchetto Bersani(6), documento che al Titolo I (Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competività, per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi(7) Articolo 5 (interventi urgenti nel campo della distribuzione di farmaci) stabilisce(8):

Tale pacchetto, dunque, contiene un complesso di norme che “appaiono ispirate a logiche e interessi che con la salute pubblica non hanno molto a che vedere” in quanto “l’eventualità di vendere i farmaci senza obbligo di ricetta nei supermercati rischia di  aprire la porta a una erronea considerazione del bene farmaco da parte dei cittadini” in virtù del fatto che “le specialità medicinali, anche quelle da automedicazione, sono beni di salute, non prodotti di consumo e non possono né debbono avere niente a che fare con le dinamiche commerciali(9), (10)”.

La creazione di  catene commerciali di farmacie, in effetti, ha in predicato inevitabilmente la prevalenza di una dimensione mercantile, asservita ad interessi di gruppi economici, orientata alla pubblicità ed al marketing e, in ogni caso, lontanissima dal fornire ai cittadini adeguate garanzie sul versante della salute. Inoltre, lo strapotere di concentrazioni commerciali rappresenta una minaccia per le farmacie indipendenti (soprattutto nei piccoli centri) che effettuano un reale servizio al cittadino in zone obiettivamente disagiate.

Per il sistema capillare di assistenza farmaceutica(11), dunque, si prospetta il rischio concreto di divenire solo un ricordo nel volgere di qualche anno.

La possibilità, infine, di essere titolare di più farmacie o di associarsi sembra introdurre una vera e propria mutazione genetica della figura del farmacista che da professionista-lavoratore autonomo diviene imprenditore, con tutto ciò che questo comporta.

Il 12 agosto 2006 tre Ipercoop a Carpi, Ferrara e Bari aprono i corner(12) dei farmaci da banco, angoli di vendita divisi dagli altri reparti con separé ad hoc: hanno fondo di tonalità verde con sfumature fluorescenti nei banchi e nel pavimento, una targa che indica che il luogo è  “riservato”, un’insegna luminosa che indica il presidio sanitario, un cartello che spiega: “La fedeltà del cliente non va incoraggiata con il consumo indiscriminato di medicinali”; i consumatori sembrano apprezzare la liberalizzazione dei farmaci da banco risultando favorevoli in otto su dieci(13). La sola Coop, inoltre, ha programmato l’apertura entro il 2007 di 150 corner e complessive 450-500 assunzioni permanenti nonchè il ruolo in proprio dell’organizzazione nella distribuzione dei farmaci e puntando a creare una cerniera produttiva per giungere a scontistiche del 50% previa concessione di autorizzazione ministeriale per la produzione di farmaci con proprio marchio.

Al 15 agosto 2006 emerge il dato significativo che il mercato dei medicinali da banco nelle Coop addirittura vale già il 2% del fatturato(14), (15).

Il 19 luglio 2006 la Categoria aderisce compatta al primo sciopero dopo 37 anni: il 93% delle farmacie chiude per protesta mentre il Decreto Bersani  esce dalla Commissione Bilancio; il 26 luglio, tra spaccature della base e minacce incombenti di precettazione nonchè inviti di Federfarma alle farmacie  di revocare gli  ordini non ancora  evasi di farmaci da banco, vi è la seconda serrata “a oltranza” del 95% dei farmacisti con sit-in  a Roma mentre il Decreto Bersani è licenziato dal Senato con voto di fiducia.

Il decreto Bersani crea molta irritazione nella categoria sia per il grande impatto mediatico dell’innovazione sia perché il farmacista sente sempre dentro di sé la professione e non ha propensione culturale al commercio. La farmacia, pertanto, si trova ad avere un confronto commerciale molto difficile se non riesce ad ottenere medesime condizioni dai fornitori, avere un orario diverso da quello attuale, praticare sconti ed offrire altri servizi e iniziative promozionali di comunicazione.

La politica, inoltre, tende a ridurre i vincoli di accesso alla professione e ad aumentare la concorrenza ritenendo che ciò riduca i costi e faccia risparmiare sulla spesa farmaceutica pubblica.

Del sistema farmaceutico vengono posti in discussione gli orari, i turni, le ferie, la remunerazione del farmacista, il limite di età, la carenza di farmacie in quartieri nuovi o in zone rurali, lo scarso utilizzo del decentramento, le modalità di assegnazione delle farmacie tramite concorsi.

Tutto ciò porta ad una esigenza di riforma dell’Ordinamento farmaceutico o in alternativa, secondo talune correnti di pensiero, ad una liberalizzazione del servizio farmaceutico.

Nel settembre 2006 si diffonde la notizia che la Boots, società proprietaria di una grande catena di farmacie in Gran Bretagna, sta effettuando la valutazione di impiego di medici generali e specialisti ospedalieri per fornire nelle proprie farmacie anche altri servizi concessi nell’ambito del servizio sanitario nazionale inglese; naturalmente tale iniziativa è accolta favorevolmente dai supermercati al cui interno opera una farmacia.

In questo periodo una società promuove un’iniziativa, prontamente avversata da Federfarma, denominata Bancomat dei farmaci consistente addirittura nella realizzazione di un distributore automatico di tutti i farmaci (etici e non) installabile ovunque ritenuto necessario e capace di consentire al cittadino il prelievo dei medicinali e contemporaneamente il colloquio con un farmacista tramite collegamento video.

Il 5 ottobre 2006 la Direzione Generale dei Farmaci e dispositivi Medici del Ministero della Salute pubblica la Circolare n. 3 del 3 ottobre (G.U. n.232) di chiarimenti su aspetti applicativi della Legge Bersani: sono soggetti abilitati alla vendita del farmaco fuori dalla farmacia gli esercizi di vicinato (con superficie di vendita superiore a 150 mq se in comuni con meno di 10.000 abitanti e a 250 mq in comuni con più di 10.000 abitanti), le medie strutture di vendita (superficie di vendita superiore a 150 mq e fino a 1500 mq se in comuni con meno di 10.000 abitanti e fino a 2500 mq in comuni con più di 10.000 abitanti), le grandi strutture di vendita (esercizi con superficie ancora superiore ai precedenti); i medicinali vendibili fuori dalla farmacia sono quelli da banco o di automedicazione, i veterinari e gli omeopatici senza obbligo di ricetta medica, i farmaci industriali collocati in classe A con o senza nota per i quali non vi è obbligo di prescrizione medica(16); la presenza del farmacista nel corner deve essere continua durante l’orario di apertura per assicurare un’assistenza personale e diretta al cliente; il farmacista nello svolgimento dell’attività può indossare il distintivo professionale e deve distinguersi da eventuale altro personale; il self-service nei corner è consentito; l’insegna dei corner deve essere realizzata in modo che contenga denominazioni e simboli tali da “non indurre il cliente a ritenere che si tratti di una farmacia”; è fatto espresso divietato di incentivi all’acquisto di farmaci tramite concorsi, operazioni a premio e vendite sotto costo; è libera per ogni dettagliante l’entità dello sconto praticabile sui medicinali.

In ogni caso la farmacia ha  conservato la sua centralità nel rapporto con il farmaco, il monopolio, dunque, non è stato incrinato: i farmaci salvavita e tutti quelli con la ricetta, infatti, restano in vendita solo nella farmacia che resta il referente di fiducia dei cittadini.

L’arrivo dei prodotti da banco al supermercato, però, è un allargamento che ha un valore fortemente diseducativo giacchè, in generale, in farmacia il cittadino entra solo quando ha davvero bisogno, magari in emergenza, mentre il tipo di vendita commerciale, (prevalente anche se non esclusivo, ndr) appannaggio della Grande Distribuzione Organizzata, induce nell’avventore il bisogno facendo leva esclusivamente sull'abbassamento del prezzo(17).

Si verifica, dunque, alla luce della Bersani una storica anomalia: la nascita di una sorta di “ipofarmacista”, ovvero il farmacista dell’ipermercato, un professionista praticamente minusvalente che può vendere solo una categoria di farmaci e non altre e che non ha alcun riscontro in nessuna nazione e non è mai esistito nella storia dell’umanità. Per giunta, la Grande Distribuzione Organizzata si ritrova la gestione dei corner della salute in perdita persino negli ipermercati in quanto con il solo farmaco da banco risulta impossibile finanche pagare lo stipendio agli ipofarmacisti mentre si tagliano fuori i piccoli e medi esercizi. Il limite più inquietate dell’ipofarmacista emerge alla luce dei principi delle Costituzioni federiciane: la sicurezza economica di una categoria non preserva dalla corruzione e dallo scadimento, però è sicura l’evenienza opposta: in mancanza di un reddito sufficiente è altamente probabile la disonestà; l’ipofarmacista in una persistente posizione critica dell’ipermercato è a rischio di ciarlataneria per necessità di sopravvivenza(18).

C’è il rischio, tuttavia, che il decreto, pur avendo indubbi meriti, sia concepito come un primo passo per la sostituzione del cittadino imprenditore, del lavoratore autonomo, dell’operatore indipendente, in un mercato, al di là delle intenzioni, “selvaggio”.  Si pensi al permesso alle multinazionali farmaceutiche di aprire catene di farmacie (contrariamente a quanto sentenziato dalla Corte Costituzionale) e al privilegio dei supermercati nella somministrazione di farmaci. Viene, però, da chiedersi se davvero sia corretta e lungimirante l’idea che il mercato è semplice diminuzione dei prezzi, anche a costo della distruzione  di una realtà imprenditoriale (patrimonio tutto italiano), di un possibile consumo abnorme di beni come i farmaci, di un assetto proprietario che viene confuso con la concorrenza, ma che può essere foriero di futuri monopoli o oligopoli. Si nota, in effetti, un’ostilità, in alcuni casi esplicita e livorosa, verso piccoli imprenditori, artigiani e autonomi, a priori sospettati di evasione e mancanza di trasparenza o, nella migliore delle ipotesi, considerati semplici “ammortizzatori sociali”. Concezione inconciliabile con chi considera tali categorie tra i principali generatori della ricchezza italiana, come in altre occasioni ha affermato lo stesso ministro Bersani. Nessuno difende norme che aboliscono privilegi ingiustificati ma non sembra vero, come asseriscono alcuni “esperti”, che liberalizzare tutto e indiscriminatamente sia un bene per i cittadini utenti e, infine, si pone il problema di come evitare una proliferazione di fenomeni degenerativi della professione, già purtroppo in atto nel nostro Paese ed ampiamente riscontrabili nei Paesi ove vige il libero mercato della farmacia. Una risposta adeguata può essere data solo liberandosi da una visione ideologica della realtà(19).

Che l’ingresso di nuovi attori nella distribuzione del farmaco comporti di per sé un vantaggio per il cittadino è un assunto teorico che, per la verità, non ha trovato finora grandi riscontri.

A cominciare, per esempio, dallo stabilirsi di una concorrenza vera e propria. Più propriamente, si è innescato un meccanismo che favorisce il passaggio senza colpo ferire da una “corporazione”, come attualmente si suole dire, ad un oligopolio il cui assetto rende difficile continuare a supportare la funzione sociale della farmacia e causa la chiusura dei punti vendita meno redditizi(20). Senonché, le grandi catene tendono a basarsi in modo diretto sull'andamento della popolazione per decidere se aprire o chiudere un esercizio, per cui  ciò determina la massima concentrazione nelle aree più popolate, dalle quali tendono a scomparire le farmacie di comunità. Nel contempo però, il calo demografico è una spinta alla chiusura delle farmacie indipendenti che difficilmente possono essere sostituite dagli esercizi della grandi catene(21). In altre parole, questa dinamica potrebbe causare difficoltà nell'accesso al farmaco per le popolazioni lontane dalle grandi aree urbane e suburbane. D'altra parte anche mettere sotto tensione i prezzi, nelle dinamiche di mercato, serve il più delle volte a rompere il fronte e far uscire di scena i concorrenti più deboli. In realtà, niente è più avverso alla concorrenza del mercato stesso, che semmai tende al cartello. Infatti, quando rimane un solo attore sulla piazza, a che servono gli sconti? Forse varrebbe la pena di riconsiderare il ruolo della pianta organica anche alla luce di queste considerazioni. E chiedersi se un professionista dipendente da un'azienda che ragiona in termini di mera redditività, come del resto logico e inevitabile, sia poi così motivato a promuovere il farmaco meno caro, o a sacrificare una vendita al fine di dedicarsi alle richieste del cittadino.

Taluni farmacisti, poi, vittime del fascino sottile delle liberalizzazioni hanno richiesto al Ministero la deregolamentazione dell’orario di lavoro a beneficio di un prolungamento dell’attività nella pausa pomeridiana (aggirando i turni disciplinati da ferrei regolamenti regionali) mantenendo aperti dei mini-reparti “fai-da-te” ottenendo un netto rifiuto.

Ma la sirena delle liberalizzazioni marca “Bersani” ha fatto anche un’altra strage di cuori (e di interessi) tra i titolari di farmacia che, in numero non irrilevante, hanno iniziato la corsa all’apertura di “parafarmacie” per la vendita dei farmaci da banco costringendo i vertici di Federfarma a stigmatizzare tale comportamento definito “politicamente inopportuno(22)”. In particolare, il Presidente Giorgio Siri ed il Segretario Franco Caprino di Federfarma dichiarano l’assoluta contrarietà del Consiglio di Presidenza all’apertura dei titolari di farmacia di nuovi punti vendita di farmaci “a discapito dei principi della pianta organica”, baluardo dell’attuale servizio farmaceutico territoriale. Inoltre, si punta sull’orgoglio professionale per evitare che il farmacista si trasformi in “mero imprenditore del farmaco” e si invitano le associazioni locali a vigilare che le parafarmacie eventualmente aperte dai farmacisti non diventino “strumenti di violazione delle norme di settore” in considerazione che: è vietato al farmacista titolare di prestare attività in entrambi gli esercizi (volendolo la Legge “sempre in farmacia”), è vietato aprire liberamente filiali o sedi distaccate del presidio e, fatto  più  grave dai  possibili  estremi di illecito penale, vi è la  tentazione  per il titolare di farmacia di incorrere “nell’accaparramento di ricette a beneficio e su richiesta di una farmacia”.

Negli ultimi anni, tuttavia, una responsabilità ancora più grande nei confronti della Categoria dei Farmacisti ricade su talune farmacie spaccio con giro di affari al di là di ogni regola ed ogni immaginazione che si basano esclusivamente sui principi del commercio aggressivo e che, purtroppo, sovente sono prive di scrupoli non solo etici e men che meno morali. Tali farmacie anomale, infatti, sono capaci di stabilire collusioni  tra farmacisti e politici generando delle mostruosità miliardarie che diffondono un vero e proprio disordine morale instaurando rapporti fangosi con i medici (dal pagamento dell’affitto dell’ambulatorio, talora anche nello stesso stabile della farmacia, a ben peggio) e/o instaurando un mercato chiuso in cui titolari e politici barattano licenze e prebende.

Ovviamente, il farmacista onesto e scrupoloso che disgraziatamente ha per vicino uno di questi farmacisti bricconi o dovrebbe smettere di esser tale o dovrebbe recarsi altrove a praticare onestà e scrupolo o, ridimensionato in breve tempo, è risucchiato in una spirale in cui giunge a provare finanche il dolore dell’onestà.

Non va sottaciuto, poi, il recente fenomeno, giunto anche all’attenzione investigativa, di infiltrazione malavitosa in talune aziende al fine di collocare a lavoro propri protetti o loro familiari (“colletti bianchi”) e, soprattutto, trarre profitti economici ingenti e riciclare danaro sporco: un vero e proprio pozzo di danaro praticamente senza fondo e prodotti offerti alla clientela con sconti da favola.

La farmacia gestita dalla “malavita imprenditrice” è abile nello stimolare e manipolare anche il consenso ed a insinuarsi nei gangli del “paese legale” assurgendo ad apparente modello commerciale e professionale che, suadente come un “pifferaio magico”, con ogni mezzo attira su di sé una copiosa clientela ipocrita o ignorante o superficiale o collusa o spesso anche ignara dell’origine del fenomeno “aziendale” tanto dirompente, esplosivo, quanto rapidissimo e irresistibile.

Ovviamente le farmacie limitrofe che restano oneste inesorabilmente conoscono una vita di stenti e di umiliazioni, quando non falliscono o svendono... a prestanome o collusi di cosche a delinquere.

In questo caso, paradossalmente, lo sconto in un mercato dopato e la concorrenza priva di scrupoli e penalmente illecita, se godono della latitanza o anche solo della distrazione delle azioni investigativa e repressiva giudiziarie, concorrono a favorire una discriminazione che giunge fino ad eliminare dal mercato le farmacie migliori e sane di un territorio socialmente malato che si ritrova così ulteriormente ridotti in modo esponenziali suoi fondamentali fattori di tutela e garanzia per la collettività.

Il 1° febbraio 2007, infine, è inoltrata agli organi italiani legislativi e di governo (Parlamento e Governo) ed alle Regioni una istituzionale ma non vincolante Segnalazione dell’Autorità Antitrust per un intervento di revisione di orari e turni degli esercizi farmaceutici” il cui punto centrale è il convincimento che “…i vincoli che impediscono ai farmacisti di prestare i propri servizi oltre detti orari e turni minimi appaiono restringere ingiustificatamente la concorrenza…”.

In particolare, l’Autority richiede interventi legislativi tesi a: eliminare il limite di ore massimo per l’apertura giornaliera o settimanale estendendo la facoltà di apertura delle farmacie al di là degli orari minimi previsti dalla normativa; eliminare il limite minimo di ferie annuali; eliminare l’imposizione a livello regionale o comunale di obblighi di uniformità negli orari di apertura; evitare, in ogni caso, che le decisioni assunte in materia dalle amministrazioni locali siano condizionate da interventi degli organismi rappresentativi dei farmacisti.

Tutto ciò asserendo che la modifica legislativa introdotta con il Decreto Bersani comporterebbe una situazione di svantaggio competitivo proprio a danno delle farmacie costrette ad adottare orari di apertura, turni, ferie, eccetera maggiormente vincolistici rispetto a quello dei loro diretti competitori della Grande Distribuzione Organizzata e ritenendo superata la sentenza della Corte Costituzionale n.27 del 4 febbraio 2003 e sostenendo, di contro, che i limiti massimi all’orario di apertura diverrebbero paradossalmente un pericolo per le farmacie non più in grado di reggere la concorrenza con esercizi commerciali non sottostanti a medesimi vincoli.

Insomma, nel periodo coincidente all’incirca con l’ultimo trentennio, l’importanza del farmaco è cresciuta notevolmente (in termini salutistici per lo svilupo di nuove molecole; in termini economici, per l’enorme aumento delle risorse pubbliche e private stanziate; in termini sociali per l’attenzione crescente dedicata dalla popolazione e dai media a salute e benessere).

Correlativamente, invece, non è parimenti cresciuta l’importanza del farmacista.

Ciò anche a causa del fatto che lo sviluppo della dimensione del farmaco non è solo la risultante del peso economico della spesa farmaceutica pubblica e privata: il farmaco, ad esempio, dimostrando nel tempo le sue potenzialità di business, ha attratto a sé numerosi interessi economici; sono aumentate le attese per i farmaci salvavita e per importanti patologie ma anche per i farmaci destinati alla cura di patologie e disturbi minori nonché per i farmaci perfomanti (ad esempio: nelle prestazioni sportive, amatorie, ecc.).

A fronte di un ruolo del farmaco che è divenuto così invasivo, nell’immaginario collettivo il ruolo del farmacista non solo non è cresciuto in egual misura ma in qualche modo è addirittura declinato sia perché è diminuita la personalizzazione del rapporto soppiantata dalla fiducia nel marchio, sia per la graduale dilatazione merceologica non di rado snaturante l’esercizio farmaceutico, sia per l’incalzante esasperata connotazione commerciale e di marketing adottata da un numero sempre più significativo di farmacie, sia addirittura per numerosi eventi da cronaca nera, sia perché il consumatore è stato gradualmente indotto a credere ed ha anche autonomamente sempre più creduto di poter fare a meno del farmacista(23).

Conseguentemente, la situazione attuale, con la liberalizzazione “Bersani”, è anche il risultato di un rilevante squilibrio stratificatosi nel tempo.

Fino ad un po’ di tempo addietro era auspicabile una rinascita della professione: bisognava ritrovare, non trovare. Tuttavia, adesso appare chiaro di come il futuro sostanzialmente abbia messo saldamente le radici nel presente.  In ogni caso, a tal proposito, desidero manifestare la mia personale predilezione alla condivisione della considerazione vichiana(24) che esistono momenti che sembrano traversie e sono, invece, delle opportunità. Nutro, anzi, rafforzativamente, la convinzione che in un futuro anche non remoto io possa rischiare verosimilmente una delusione solo ed esclusivamente non per ciò che ho qui affermato ma per ciò che di significativo e risolutivo non sia stato fatto.

La grande meta, dunque, che in questo periodo sembra vada inevitabilmente a profilarsi per la Farmacia italiana è, in effetti, un cruciale nuovo modo di vedere le cose. L’auspicio che sento profondamente di non sottacere a proposito di tale momento delicato della Professione è che la Categoria abbia la “serenità di accettare le cose che non può cambiare, il coraggio di cambiare quelle che può cambiare, la saggezza di distinguere le une dalle altre” e, accaparrandosi uno squarcio del suo passato irripetibile, sia capace, parafrasando Adonis(25), di “trasformare il domani in preda e rincorrerla a perdifiato”.

In conclusione, ricorrendo ad una riflessione a me cara di Mahatma Ghandi

, mi sembra giusto non perdere di vista il fatto che “non è il critico che conta, non l’uomo che indica

perché il forte cade, o dove il realizzatore poteva far meglio.  Il merito  appartiene  all’uomo  che

è  nell’arena, il cui  viso è segnato dalla polvere e dal sudore, che lotta coraggiosamente, che

sbaglia e che può cadere ancora, perché non c’è conquista senza errore o debolezza; ma che

veramente lotta per realizzare, che conosce il grande entusiasmo e la grande fede, che si

adopera per una nobile causa, che tutt’al più conosce alla fine il trionfo delle alte mete e che,

nel peggiore dei casi, se fallisce, cade almeno gloriosamente, cosicché il suo posto non sarà

mai vicino alle anime pavide e paurose che non conoscono né la vittoria né la sconfitta”. 

D’altro canto, neppure mettendo assieme tutti i suesposti dati è possibile costruirsi un unico perché. Ma restano pur sempre un come e un chi su cui si deve continuare a riflettere.

In merito ai “chi” mi sovviene una riflessione del filosofo Bertrand Russel che recita: “La cosa seccante di questo mondo è che gli imbecilli sono sicuri di sé, mentre le persone intelligenti sono piene di dubbi”.

È tra questi ultimi, verosimilmente, che vi sono anche quelli cui affidiamo o rinnoviamo le nostre speranze: essi sono soprattutto uomini che alle tracce delle loro vite consacrano anni di lavoro nella speranza che possa scavare un solco destinato a restare!

Il furbo è colui che sa districarsi da situazioni

in cui il saggio non sarebbe mai entrato

dal Talmud

_______________

(1) Un confronto tra le aspettative del 1975 e la realtà odierna è meno desolante in quanto nell’ultimo decennio il movimento verso il “farmacista clinico” si è accelerato. Nel 1999 Dennis Worthen, docente di Storia della Farmacia all’Università di Cincinnati in Ohio pubblica un’analisi sul Rapporto Millis nella cui prefazione accenna alle controverse reazioni suscitate dal Rapporto, una vasta gamma tra l’entusiasmo e lo scetticismo, e si serve di questa analogia: “Immaginiamo di metterci in viaggio, in direzione di montagne lontane; dopo l’intera mattinata di viaggio le montagne appaiono distanti come al momento della partenza, ancora incollate all’orizzonte. Il viaggio continua per tutto il pomeriggio, ma le montagne non si avvicinano per niente: cominciamo a chiederci quando e se mai arriveremo. Alla fine ci fermiamo e ci giriamo indietro, ma scopriamo che ci siamo allontanati tanto da non poter più scorgere il punto da dove siamo partiti: le montagne sono ancora lontane, ma il viaggio è ben cominciato”.

(2) Garrisi E., Professionisti ieri e oggi, Punto Effe, anno VIII, n.4 - 8 marzo 2007, pagg. 36-37.

(3) La sentenza nasce da un ricorso di Federfarma al TAR della Lombardia contro la privatizzazione di 84 farmacie comunali di Milano, affidate in gestione alla società Gehe per 250 miliardi di lire. Il TAR decide di sottoporre la questione alla Corte Costituzionale che riconosce la fondatezza delle argomentazioni di Federfarma. La sentenza della Corte avrà necessariamente conseguenze anche sulle iniziative analoghe promosse dagli altri comuni. Il TAR della Lombardia, sulla base della sentenza della Consulta, decide l'annullamento del bando di gara per l'assegnazione delle farmacie comunali di Milano. Il TAR, in particolare, nella sentenza n.4195/2004, ribadisce la necessità di una netta separazione tra l'attività della produzione/distribuzione intermedia del farmaco e quella di distribuzione finale dei farmaci ai cittadini, in quanto la sovrapposizione di attività in questo campo rischia di condizionare l'offerta dei farmaci. In sostanza, la società di distribuzione intermedia potrebbe favorire la consegna nelle proprie farmacie di alcuni medicinali, ad esempio i più costosi per guadagnare di più ovvero, in accordo con le case produttrici, fornire solo determinati farmaci. In tal modo si condizionerebbe la scelta dei medicinali e si favorirebbero alcune industrie farmaceutiche a scapito di altre. Inoltre, il TAR ha chiarito che l'incompatibilità rilevata dalla Corte Costituzionale non si pone in contrasto con la normativa comunitaria, in quanto quest'ultima riconosce implicitamente agli Stati membri la facoltà di introdurre norme sulla incompatibilità tra esercizio della vendita all'ingrosso ed esercizio della vendita al pubblico dei medicinali.

(4) Passalacqua Claudio - Risposta al Ministro della Salute - Atti e Memorie AD 2005, Nobile Collegio Chimico Farmaceutico Universitas Aromatariorum Urbis - Accademia Romana di Storia della Farmacia e di Scienze Farmaceutiche; Cardoni, settembre 2006.

(5) Farmacista33, FOFI, 29.06.2006.

(6) Pierluigi Bersani, Ministro dello Sviluppo.

(7) Norme e Tributi - Deregulation e Fisco per curare i conti - Il Sole 24 Ore, Domenica 2 luglio 2006, n.179.

(8) F.O.F.I., Farmacista 33 - Anno 2, n. 119, 1 luglio 2006.

(9) Leopardi Giacomo, Presidente F.O.F.I., da E-newsletter@farmacista33.it - Anno 2, n. 119, 1 luglio 2006.

(10) N.d.A.: tuttavia, è innegabile che negli ultimi anni molte farmacie si sono fortemente compromesse e, talora, in parte snaturate adottando con ostinata miopia sbilanciate pratiche commerciali sia esasperatamente concorrenziali in virtù di elevati sconti che per il ricorso eccessivo a concorsi, operazioni di fidelizzazione e di marketing, non di rado anche sul filo della liceità deontologica professionale, e per l’ampliamento e/o l’approfondimento della gamma dei prodotti commercializzati al limite ed anche ben oltre le stesse tabelle merceologiche di categoria con conseguente responsabilità.sia di parziale banalizzazione di taluni aspetti della professione all’occhio della pubblica opinione che di ingenerazione di una scala di valori delle farmacie in funzione di variabili promozionali economico-finanziarie e non esclusivamente di qualità del servizio (in termini strettamente tecnici, professionali, deontologici, etici, morali, sociali).

(11) N.d.A.: di fatto sostanzialmente e progressivamente già logorato, al di là dei pronunciamenti più e meno recenti della Corte Costituzionale, anche dalla scorretta o non vigilata osservanza degli orari di apertura e chiusura delle farmacie e, con rilevante nocumento, dalla tollerata o amministrativamente consentita (da Ordini Professionali e/o Enti Locali) cosiddetta turnazione “volontaria” continua 24/24 ore di talune farmacie non solo nelle grandi città ma anche nei piccoli comuni. Riguardo a quest’ultima problematica evidenziata, infatti,

(12) Non farmacia, appunto, titolo riservato agli esercizi pubblici e privati che trattano in esclusiva i farmaci etici rimborsati o meno dallo Stato.

(13) Sondaggio di Cittadinanzattiva.

(14) Sole 24 Ore, Economia e Imprese, pag. 13, giovedi 17 agosto 2006.

(15) Mercato dei farmaci da banco consentito fuori dalle farmacie nei principali Paesi europei al 2006. Germania: solo vitamine, minerali e prodotti erboristici; Olanda: 84,4% nei drugstore; pressochè ovunque previa licenza (le farmacie sono pochissime); Irlanda: otc e alcuni farmaci in supermarmercati e distributori di benzina; Austria: otc solo in alcuni negozi alimentari con speciale autorizzazione; Gran Bretagna: otc e altri farmaci di una lista ufficiale anche nei supermarcati e grocery stores; Finlandia: solo in farmacia; Norvegia: ovunque; Danimarca: ovunque (le farmacie, però, sono in rapporto di 1 ogni 17mila abitanti; Belgio: solo in farmacia; Francia: solo in farmacia (che, però, sono ovunque, anche nei supermercati). (Fonte: Sole 24 Ore, Economia e Imprese, pag. 13, giovedi 17 agosto 2006); Portogallo: previsto ma non ancora attuato il canale nella grande distribuzione;  Spagna: nei supermercati; Grecia: solo prodotti da banco con pochi effetti collaterali. (Fonte: Il Mattino, 13 agosto 2006, pag. 19).

(16) Ad esempio, Narcan, Sodio Cloruro 0,9%, Acqua per preparazioni iniettabili, Salvituss, Levotuss, Danka. Ovviamente tali medicinali possono essere dispensati in regime di Sistema sanitario nazionale esclusivamente dalle farmacie; tuttavia il Ministero non esclude una futura riclassificazione di tali prodotti.

(17) Mandelli Andrea, vicepresidente della Federazione degli Ordini dei Farmacisti Italiani., inchiesta pubblicata sul Messaggero di Roma, 20.12.2006.

(18) Garrisi Enrico, Professionisti ieri e oggi, Punto Effe anno VIII, n.4 - 8 marzo 2007, pagg. 32-37.

(19) Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, intervento in occasione del Meeting di Rimini 2006 di Comunione e Liberazione  per l’amicizia dei popoli.

(20) L'Europa, ricorda uno studio di Health Policy, ha per lungo tempo regolamentato l'accesso alla titolarità della farmacia, la sua attività e anche i margini di profitto. Recentemente, in molti paesi si è pensato di invertire la rotta, per stimolare la competizione. E' il caso di Islanda e Norvegia, che hanno avviato la deregolamentazione tra il 1996 e il 2001, permettendo la titolarità di più farmacie e la competizione sul prezzo. Il risultato più immediato, in entrambi i paesi, è stata l'integrazione orizzontale del mercato e la concentrazione; in Norvegia, inoltre, si è osservata l'integrazione verticale, con l'arrivo dei grossisti nella proprietà delle farmacie. Nel 2004, riporta lo studio, due gruppi in Islanda e tre in Norvegia controllavano rispettivamente l'85 e il 97% del mercato (Anell A. Deregulating the pharmacy market: the case of Iceland and Norway. Health Policy. 2005 Dec;75(1):9-17).

(21) Nello stato del Minnesota (Stati Uniti), dal 1992 al2002, l'assetto proprietario della farmacie è cambiato: all'inizio del periodo vi erano due farmacie di comunità per ciascuna farmacia appartenete a una catena, nel 2002 il rapporto era di1 a 1.

(22) Circolare Presidenza Federfarma dell’11 gennaio 2007.

(23) Raimondo Villano, Il ruolo sociale della farmacia nella modernizzazione del Sistema Sanitario - Conferenza al Rotary Club Pompei Oplonti, maggio 1990.

(24) Giovanbattista Vico, Scienza nuova.

(25) Pseudonimo del siriano libanese Ali Ahmad Said Isbir.

 

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