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Abstract :

A15. Pastorale e diaconia della cultura digitale

Pastorale e diaconia della cultura digitale

L’uomo aspira all’unità, alla pace con se stesso e con gli altri, quella pace che sant’Agostino definiva come “tranquillità dell’ordine”; ma si scopre sempre diviso tra le sue varie dimensioni:  la carne e lo spirito, oppure “il corpo, l’anima e lo spirito”, secondo le categorie più usuali di san Paolo. Lo spirito stesso, inteso nel senso ristretto dell'intelletto, appare diviso come spirito scientifico e spirito umanistico, oppure, come diceva Pascal, tra l’esprit de géométrie e l’esprit de finesse. Dal punto di vista morale, oscilla in continuazione tra l’'egoismo fondamentale, spesso legato alla paura, e un grande desiderio di generosità che marcia di pari passo con la fiducia. L’uomo fa parte del cosmo e si trova sottomesso a tutte le leggi del mondo fisico, ma scopre in sé la nostalgia della trascendenza. È completamente immerso nel tempo, ma aspira all’eternità, la cui semplicità dominerebbe la molteplicità temporale. Si scopre sottomesso alla necessità di morire, eppure la morte gli sembra contro natura - sia la sua propria, sia quella, molto più dolorosa, dell’essere amato. Non rinuncia però alla volontà di amare al di là della morte(145). “Il desiderio umano è il tendere di tutto il proprio io all’incontro con il mondo reale. Possiamo tendere a obiettivi fallaci ma, come Sant’Agostino scrive, ‘Tu ci hai creati per te ed il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te’. Cuore è la parola giusta per dire desiderio: permette di volgerci con affetto a ciò che non si possiede, alle ‘cose grandi’, e nulla vi è di più gran­de di Dio, al punto che non si trova pace fin ché non si riposa in Lui.

Ogni altro desiderio che tesse la trama quotidiana dell’umana esperienza, il desiderio di avere la vita salva, di amare e di essere amato, di edificare la città, rinvia ‘più in là’.

Altro interrogativo cogente è se per la società, come si diceva una volta, “Dio è morto”. 

“In realtà, fino a quindici anni fa si parlava dell’eclissi di Dio ma nella post-modernità, che si è aperta con la caduta dei muri; attualmente la domanda non è posta più nei termini ‘dell’esistenza Dio’ bensì di ‘come averne notizia’. Per parlare di Dio all’uomo post-moderno occorre domandarsi se c’è una ‘familiarità’ con lui e si può ritenere che la convinzione che Dio si è fatto conoscere e si è reso familiare perché si è compromesso con la storia degli uomini sia nel DNA della mentalità occidentale. Per questo, puntualmente, riaffiora nel reale la grammatica attraverso cui il Dio che si è coinvolto con la storia continua a darci notizia della sua presenza tra noi(146)”. Un decisivo e generale momento critico riscontrabile in rete è la diffusa abitudine a fare a meno di una trascendenza.

Il punto di riferimento delle dinamiche simboliche dello spazio digitale non è più un’alterità trascendente, ma sono io. Io sono al centro del mio mondo virtuale che diventa l’unico spazio di realtà, pur non essendo in grado di soddisfare la mia ricerca di verità. 

Esiste, tuttavia, anche un altro aspetto importante su cui riflettere e che appare oggi di grande importanza:  la società digitale non è pensabile e comprensibile solo attraverso i contenuti trasmessi ma, soprattutto, attraverso le relazioni:  lo scambio dei contenuti avviene all’interno delle relazioni.

È necessario, dunque, non confondere “nuova complessità” con “disordine”, e “aggregazione spontanea” con “anarchia”. La Chiesa è chiamata ad approfondire maggiormente l’esercizio dell’autorità in un contesto fondamentalmente reticolare e, dunque, orizzontale ed appare chiaro come l’opzione sia la testimonianza autorevole. Oggi l’uomo della rete si fida delle opinioni in forma di testimonianza. Ad esempio: se oggi voglio comprare un libro o farmi un’opinione sulla sua validità vado su un social network come aNobii o visito una libreria on line come Amazon o Internet bookshop e leggo le opinioni di altri lettori. Questi pareri hanno più il taglio delle testimonianze che delle classiche recensioni:  spesso fanno appello al personale processo di lettura e alle reazioni che ha suscitate. E lo stesso accade se voglio comprare un’applicazione o un brano musicale su iTunes. Esistono anche testimonianze sulla affidabilità delle persone nel caso in cui esse sono venditrici di oggetti su eBay. E gli esempi si possono moltiplicare:  si tratta sempre e comunque di quegli user generated content che hanno fatto la “fortuna” e il significato dei social network.

La “testimonianza” è da considerare dunque, all’interno della logica delle reti partecipative, un “contenuto generato dall’utente”. 

La Chiesa in rete può essere, dunque,  non solo “emittenza” di contenuti ma, soprattutto, “testimonianza” in un contesto di relazioni ampie composto da credenti di ogni religione, non credenti e persone di ogni cultura.

È chiamata, quindi, scrive Benedetto XVI, a “tener conto anche di quanti non credono, sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche”.

Vi sono, poi, concezioni della rete che destano preoccupazioni molto serie come, ad esempio, quelle tentate dal “superomismo” o quelle che, partendo dall’altrettanto non condivisibile cosiddetto ‘an­gelismo’ originariamente proposto da McLuhan, considerano addirittura la smate­rializzazione del corpo in rete una sorta di condizione di anima senza corpo e ammettono che la relazione dell’uomo elettrificato con lo spazio è quasi divina (un essere al centro ovunque, senza periferia) con l’uomo che diviene, tutto o quasi, puro spirito; ma addentrandosi appena un po’ in più a scandagliare qualche lembo in profondità, si rilevano concezioni di magismo che giungono a riconoscere che il potere del digitale combinato a quello della rete sia, appunto, di tipo magico, con applicazioni “stupende come la magia medievale”. Sul web, inoltre, ci sono molti sorprendenti fenomeni di “cristianità digitale”, originati sia da spontaneismo che da settarismo o daspeculazione, che colpiscono particolarmente e la cui diffusione e radicamento devono destare una grande attenzione e vigilanza, come, ad esempio, nel caso dei siti di “confessione pubblica”, quelli delle “comunità di pena” e quelli dei “cimiteri virtuali”. Tutti e tre sono di ispirazione cristiana, anche se i primi hanno avuto inizio in modo satirico per l’ostilità all’idea dell’assoluzione da parte di un prete(147). Questo sito, tuttavia, ha ispirato molte altre iniziative sul web e ne è nato un fenomeno serio, con migliaia di siti di ogni tipo per ‘confessarsi’. Come per il terzo fenomeno, quello dei “cimiteri virtuali”, sono ormai milioni e si rientrerebbe nell’ambito del fascino rituale, benché non necessariamente legato, almeno in modo diretto, alla fede cristiana(148).

Un altro fenomeno, invece, profondamente spirituale e spesso di ispirazione cristiana consiste nell’usare internet per condividere malattie, angosce, problemi di famiglia o, come fanno molti blog, riflettere su vari aspetti della fede. Ma anche in questo caso ci si trova di fronte ad una vera e propria selva di tipologie e di insidie. Tuttavia, sono tanti ad interrogarsi sulla incapacità  dell’uomo a ‘desiderare cose grandi’: “la  difficoltà principale consiste nel fatto che la nostra epoca è contraddistinta da un individualismo psicologico e sociale di vasta portata che rende fragili i rapporti umani, specialmente la trasmissione del significato della vita tra le generazioni. Nel post-moderno l’individualismo è inteso in senso neutro, né buono né cattivo, è meccanica ed ossessiva attenzione al valore singolare dell’uomo come singolo autonomo e separato(149)”. 

La conseguenza sociale di questo fenomeno è il fatto che “in Occidente l’età della morte si sia elevata di molto e in breve tempo ha fatto sì che il figlio sia diventato il prodotto di una riduttiva aspirazione soggettiva e ciò ha riformulato la percezione che le persone hanno di se stesse: non si sentono più chiamate a far parte della catena delle generazioni, ma anzitutto a realizzare la propria autonomia; non si considerano più responsabilmente inserite in un tessuto di compiti e doveri, ma in una trama di voglie e aspirazioni. 

Certo, il crollo degli assoluti mondani renderà più evidente il vuoto dell’individualismo e sarà soprattutto su questo terreno che prenderà forma la proposta della familiarità di Dio con noi, che potrà fiorire solo grazie alla paziente ricostruzione di relazioni buone e pratiche virtuose.

Non se ne esce facendo geremiadi, servono testimoni che risuscitino la nostalgia di Dio, la santità. E la Chiesa, al di là dei limiti del suo personale, è il popolo dei testimoni(150)”. “I cristiani non possono ignorare la crisi di fede che è sopraggiunta nella società, o semplicemente confidare che il patrimonio di valori trasmesso lungo i secoli passati possa continuare ad ispirare e plasmare il futuro della famiglia umana.

L’idea di vivere ‘come se Dio non esistesse’ si è dimostrata deleteria:  il mondo ha bisogno piuttosto di vivere ‘come se Dio esistesse’, anche se non c’è la forza  di credere,  altrimenti  esso produce solo un ‘umanesimo disumano’(151)”. È fondamentale privilegiare, innanzitutto, l’aspetto irrinunciabile dell’uomo costituito

dalla formazione e dall’educazione del soggetto in quanto tale, dotato di un cuore pronto alla domanda di senso, che emerge dalla realtà, e di una ragione che, nel rispondervi, intuisce il limite stesso che la costituisce e si apre al trascendente; l’impegno è certamente arduo ma un accantonamento di tale aspetto comportererebbe di non cogliere la grande opportunità che perfino certo relativismo contemporaneo rappresenta:  opportunità umana, perché il relativismo è umanamente invivibile, e perciò opportunità pastorale, nella possibilità di mostrare all’uomo un nuovo orizzonte. 

Per i giovani della web generation che è cresciuta su internet, poi, questo luogo virtuale sta diventando lo spazio principale dove avviene la loro formazione umana, morale e conoscitiva. È in internet che è possibile capire e si costruisce il nuovo modo di percepire la relazione interpersonale, la cultura, il rapporto con il trascendente, con la conoscenza e lo stesso Tempo(152). La questione educativa è da tempo indicata come elemento centrale dell’azione pastorale. “Come  ricorda  di  frequente  Benedetto XVI, ogni generazione è chiamata a raccogliere la sfida della libertà, e così a imparare sempre di nuovo cosa significhi essere liberi. Certamente ai nostri giorni esiste una serie di elementi che hanno reso più difficile l’esercizio di questa libertà, a fronte di un'aspirazione diffusa che la vede come un diritto e non anche come una responsabilità. In particolare, il mondo degli adulti ha smesso di generare alla vita. Ognuno di noi, infatti, cresce non tanto ascoltando quanto vedendo qualcuno. In concreto, genera alla vita chi si lascia sorprendere dalla vita e attraversare da essa. Ciò vuol dire che per essere generativi bisogna accettare il fatto che non si è all’origine della vita, ma che ci si fa attraversare da essa e con essa si dialoga. Diversamente si resta accecati e imprigionati dalla volontà di potenza e si finisce per distruggere il mondo”. (…) Avere perso il senso dell’anteriorità, cioè di Dio, ha prodotto mancanza di autorevolezza e finito col creare una società senza padri, cioè fatalmente senza testimoni. La capacità di generare, peraltro, implica sempre una trasformazione personale, fatta di dedizione, di impegno, di passione, di successo e di fallimento. Fa parte dell’accoglienza della vita anche il sapere rinunciare a qualcosa di sé per gli altri. Mi sembra che questa serie elementare di atteggiamenti sia scomparsa dalla scena pubblica per dare adito a comportamenti per lo più narcisistici, quando non addirittura adolescenziali(153)”. Viviamo nei tempi attuali una “emergenza educativa(154)”. L’educazione e la formazione “costituiscono oggi una delle sfide più urgenti che la Chiesa e le sue istituzioni sono chiamate ad affrontare. L’opera educativa sembra diventata sempre più ardua perché, in una cultura che troppo spesso fa del relativismo il proprio credo, viene a mancare la luce della verità, anzi si considera pericoloso parlare di verità, instillando così il dubbio sui valori di base dell’esistenza personale e comunitaria. Per questo è importante il servizio che svolgono nel mondo le numerose istituzioni formative che si ispirano alla visione cristiana dell’uomo e della realtà: educare è un atto d’amore, esercizio della ‘carità intellettuale’, che richiede responsabilità, dedizione, coerenza di vita(155)”.

Dunque, “il mondo della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale(156)”.

“Oggi la cultura riflette una ‘tensione’, che alle volte prende forme di ‘conflitto’, fra il presente e la tradizione. La dinamica della società assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato e senza l’intenzione di delineare un futuro. Tale valorizzazione però del ‘presente’ quale fonte ispiratrice del senso della vita, sia individuale che sociale, si scontra con la tradizione culturale profondamente segnata dal millenario influsso del cristianesimo e con un senso di responsabilità globale. Detta tradizione ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una ‘sapienza’, cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un ‘ideale’ da adempiere. La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione, il cui ricco contributo colloca al servizio della società; questa continua a rispettarne e apprezzarne il servizio per il bene comune, ma si allontana dalla citata ‘sapienza’ che fa parte del suo patrimonio.

Questo ‘conflitto’ fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita, sia come individuo che come popolo”.

“(…) C’è tutto uno sforzo di apprendimento da fare circa la forma in cui la Chiesa si situa nel mondo, aiutando la società a capire che l’annuncio della verità è un servizio che Essa offre alla società, aprendo nuovi orizzonti di futuro, di grandezza e dignità.

In effetti, la Chiesa ha ‘una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. (...) Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile’ (Caritas in veritate, 9). Per una società formata in maggioranza da cattolici e la cui cultura è stata profondamente segnata dal cristianesimo, si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo. Per noi, cristiani, la Verità è divina; è il ‘Logos’ eterno, che ha acquisito espressione umana in Gesù Cristo, il quale ha potuto affermare con oggettività:  ‘Io sono la verità’ (Gv 14, 6).

“Scriveva il Papa Paolo VI ‘la Chiesa deve venire a dialogo con il mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa dialogo’ (Enc. Ecclesiam suam, 67).

Infatti, il dialogo senza ambiguità e rispettoso delle parti in esso coinvolte è oggi una priorità nel mondo, alla quale la Chiesa non intende sottrarsi.

Costatata la diversità culturale, bisogna far sì che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro, ma aspirino anche a venire arricchite da essa e ad offrirle ciò che si possiede di bene, di vero e di bello. Questa è un’ora che richiede il meglio delle nostre forze, audacia profetica, rinnovata capacità per ‘additare nuovi mondi al mondo’, come direbbe il Poeta nazionale (portoghese, n.d.r) Luigi di Camões (Os Lusíades, II, 45)(157)”. “Senza timori vogliamo prendere il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con la stessa passione che da duemila anni governa la barca della Chiesa. Più che per le risorse tecniche, pur necessarie, vogliamo qualificarci abitando anche questo universo con un cuore credente, che contribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della rete. È questa la nostra missione, la missione irrinunciabile della Chiesa:  il compito di ogni credente che opera nei media è quello di ‘spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo tempo ‘digitale’ i segni necessari per riconoscere il Signore’ (Messaggio per la 44 Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 16 maggio 2010)(158)”.

Va posto in evidenza, quindi, il ruolo del competente dicastero del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali  nell’instaurare un dialogo concreto e fraterno con le varie Conferenze episcopali e con le Chiese locali su specifici punti fondamentali, a cominciare proprio dall’esistenza di una cultura digitale “sempre più pervasiva” originata dai nuovi media. Di fronte a questa tematica, infatti, la Chiesa “deve stabilire un dialogo fruttuoso trovando delle piste di soluzione nella linea di una vera diaconia della cultura digitale(159)”. Una diaconia a tutto campo per “far sì che proprio nel contesto mediatico risuoni il messaggio evangelico(160)”. 

Per quanto concerne la Conferenza Episcopale Italiana, “gli Orientamenti pastorali Cei per il decennio 2010-2020, dal titolo ‘Educare alla vita buona del Vangelo’, ricordano che l’ambiente mediale costituisce il nostro nuovo ‘contesto esistenziale’ (n. 51). Gli educatori, insegnanti, genitori, sacerdoti e operatori pastorali, si trovano sfidati in un compito difficile, reso ancora più impegnativo da un ambiente complesso(161)”.

Va considerato, però, che “ogni contatto della Chiesa con Internet, come con qualsiasi altro strumento di comunicazione di ultima generazione, deve essere teologicamente informato. Non siamo lì a vendere un messaggio qualunque ma ad annunciare, spiegare, approfondire la Parola di Cristo, che può ancora toccare i cuori di tutti e che ci invita continuamente a un cammino comune di fede e di servizio(162)”.

Va evidenziata, quindi, l’importanza che riveste per qualsiasi persona, anche di Chiesa, la comprensione profonda delle capacità, come anche dei potenziali rischi, insiti nelle nuove tecnologie prima di affidare ad esse il proprio messaggio. È importante, dunque, che venga elaborata anche una specifica proposta didattica su Internet per i seminari. “Internet, per la sua capacità di superare le distanze e di mettere in contatto reciproco le persone, presenta grandi possibilità anche per la Chiesa e la sua missione. Con il necessario discernimento per un suo uso intelligente e prudente, è uno strumento che può servire non solo per gli studi, ma anche per l’azione pastorale dei futuri presbiteri nei vari campi ecclesiali, quali l’evangelizzazione, l’azione missionaria, la catechesi, i progetti educativi, la gestione delle istituzioni. Anche in questo campo è di estrema importanza poter contare su formatori adeguatamente preparati perché siano guide fedeli e sempre aggiornate, al fine di accompagnare i candidati al sacerdozio all’uso corretto e positivo dei mezzi informatici(163)”.

La “pastorale nel mondo digitale” è delineata dal Santo Padre Benedetto XVI come il percorso necessario all’annuncio del Vangelo in quel territorio mediatico definito(164) come un vero “continente” brulicante di vita e in attesa di nuovi evangelizzatori. Anche ‘giù nel cyberspazio’, per dirla con lo scrittore-futurologo William Gibson, Dio chiama apostoli evangelicamente saldi e mediaticamente credibili, i sacerdoti in primis(165): non ‘occupatori’ di una porzione di suolo, avverte il Papa, secondo una “mera esigenza di rendersi presente”, ma “animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante ‘voci’ scaturite dal mondo digitale”. Siamo, dunque, “all’inizio di una storia nuova”: “quanto più le moderne tecnologie creeranno relazioni sempre più intense e il mondo digitale amplierà i suoi confini, tanto più egli (n.d.r.: il sacerdote) sarà chiamato a occuparsene pastoralmente”. Può essere utile, allora, riflettere con l’ausilio del sermone di San Tommaso Breve principium,  il cui testo è di sorprendente attualità sia per la lucida presentazione della funzione del teologo e della teologia che per la sua collocabilità nel nuovo trascendente contemporaneo: la comunicazione(166). Sostanzialmente “la teoria della comunicazione gioca oggi un ruolo paragonabile a quello che nella scolastica aveva la metafisica. Proprio per la sua dimensione, insieme trascendentale e pragmatica, la comunicazione offre alla filosofia odierna una chiave post-metafisica universale(167)”.

Il sermone, dunque, può essere considerato un trattato attualmente definibile di “teologia della comunicazione(168)”. Il sermone afferma un principio variamente declinato:  il Signore dell’universo ha stabilito che i doni della sua provvidenza vengano comunicati tramite intermediari.

A supporto di questa affermazione vengono citati un testo di Dionigi e soprattutto il Salmo 103 come prova della comunicazione sovrannaturale della Sapienza divina: “Dalle tue dimore tu irrighi i monti, e con il frutto delle tue opere si sazia la terra”. Tommaso vi vede il processo di comunicazione che fonda l’attività del teologo(169). La conoscenza che viene trasmessa è in parte accessibile alle facoltà razionali dell’uomo e in parte è propria di Dio solamente. Questa costituisce l’oggetto proprio della rivelazione che Dio ha voluto comunicare ad alcuni perché fossero testimoni e maestri. Infine l’altezza di questa conoscenza viene dal fatto che tramite essa l’uomo può entrare nella vita eterna. Per tutto questo, coloro che sono chiamati al servizio della comunicazione di questa verità devono possedere alcune caratteristiche che li rendano idonei a tale compito. 

Per prima cosa, occorre un’autorevolezza che deriva dalla coerenza o autenticità di vita. Una seconda caratteristica del “dottore” è, poi, la competenza tramite la quale, dopo essere stati illuminati da Dio, essi possono “dissipare la mancanza di senso e conoscenza di Dio nel mondo(170). Come i monti sono segno di solidità e protezione così tutti coloro che hanno nella Chiesa l’incarico di essere maestri della fede, per Tommaso, devono porsi a salvaguardia della fede dei fedeli. La loro vita entra direttamente in causa perché solo una vita esemplare può generare una testimonianza credibile.

 San Tommaso, inoltre, pone in rilievo la dimensione pastorale dell’attività dei teologi che nella Chiesa hanno “il carisma di tradurre il vangelo in maniera comprensibile ai non credenti e di chiarire a tutti l’economia dei misteri di Dio(171)”. Ed evidenzia, poi, come il vero maestro renda i propri uditori capaci di trasmettere a loro volta quanto ricevuto, anziché legarli a sé, e, con finezza pedagogica, ricorda il principio di gradualità nella comunicazione dei misteri divini, giacché non tutti gli uditori sono pronti a ricevere subito tutta la verità che, per essere comunicata, necessita della loro risposta. L’aquinate, infine, richiama i dottori ad essere un canale il più possibile trasparente per la trasmissione della sapienza divina e, con il realismo che lo contraddistingue, mette in guardia dagli ostacoli che possono rallentare, se non distorcere, questa comunicazione:  il peccato, la superficialità, l’indifferenza e la presunzione(172). Da tali premesse emerge chiaramente l’indicazione di come l’Enciclica Fides et ratio sia fondamentale nella formazione, oltre che dei sacerdoti, dei comunicatori laici affidabili:  lo studio della filosofia prima e, poi, della teologia, intese non come astrazioni, ma come confronto con le esigenze ed evidenze originarie dell'uomo, porta, soprattutto in quanto uomini razionali, a far riemergere nel proprio cuore le domande fondamentali dell’essere, a liberarle da impostazioni parziali e censorie, proprie della nostra cultura (razionalismo, relativismo, nichilismo), e a dare risposte ragionevoli a esse, adeguate alla realtà del nostro tempo, risposte che più saranno adeguate al cuore, più potranno essere risposta e proposta per le persone che quotidianamente incontrano i sacerdoti nel loro ministero pastorale. 

La Fides et ratio, quindi, offre un metodo di lavoro da perseguire nella formazione sia iniziale sia permanente; è necessario, ormai, rendere le ragioni della propria fede, lo stupore di fronte al Mistero di Gesù Cristo interroga e non si possono eludere le domande che emergono; non è possibile soffocarle, relativizzarle, catalogarle come appartenenti a un mondo pre-critico. La formazione non può in alcun caso non assumere, nella dovuta alta considerazione, le domande dell’uomo, non soltanto come premesse al “discorso teologico” ma come vera e propria condizione permanente dell’esistenza. Tutti i fratelli che non incontreremo con le “nostre” risposte, potremo certamente incontrarli con le “nostre domande!(173)”. Un fenomeno di rilievo e per vari aspetti preoccupante, poi, è costituito dall’adozione di una serie di nuovi paradigmi che si esprimono con un nuovo linguaggio, la cui diffusione mondiale avviene con modalità sia orizzontale (in quanto il nuovo linguaggio è già diffuso ovunque nel mondo, anche nei luoghi più remoti, compreso varie realtà in ambito religioso cattolico in cui è stato già adottato a livelli diversi, come, ad esempio, ong, università, associazioni, sacerdoti e pastori) che verticale (in quanto tale linguaggio esprime una nuova etica olistica (integrata) e postmoderna che, animata da una dinamica potente, tende a trasformare in modo silente ma reale tutte le culture dall’interno). Va constatato, inoltre,  che in molti casi il linguaggio e la sua etica provengono da una minoranza di esperti occidentali postmoderni secolarizzati e spesso laicisti. L’utilizzazione passiva in toto del nuovo linguaggio, sia che avvenga per adesione culturale acritica o su pressione di costrizione culturale che appare inesorabile, può anche esporre, in modo più o meno cosciente, al rischio grave della pervasività dell’etica sottesa. Dunque, “è quanto mai urgente la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie(174),” di cui è evidente la propedeuticità all’azione di formazione e educazione.

Per la Chiesa è molto importante analizzare a fondo le sfide antropologiche e teologiche di questa etica della postmodernità per cogliere al meglio le occasioni che i grandi cambiamenti culturali mondiali attuali offrono all’evangelizzazione e per eliminare i rischi che ne derivano, mortali per vari aspetti della vita della fede.

La nuova etica postmoderna, in effetti, decostruisce significativamente parti non trascurabili non solo della tradizione ebraico-cristiana ma anche della modernità e delle sue ideologie.

È urgente, quindi, che lo sforzo serio di discernimento intellettuale sia intenso e risolutivamente produttivo, giacché è evidente quanto l’ignoranza in merito esponga i cristiani al rischio di un amalgama tra la nuova etica e la dottrina sociale della Chiesa, simile a quello che ha portato i cristiani occidentali al dissaldamento della loro fede, in particolare dopo la rivoluzione culturale degli anni Sessanta(175).

 “La sfida per gli uomini di Chiesa è di pensare come possono essere presenti in questo mondo in maniera utile e intelligente. Non è solo un problema tecnologico. Occorre trovare una strategia, il linguaggio giusto per esprimere i contenuti del nostro ministero, della nostra missione, un linguaggio che non sia solo testuale ma anche visuale, che attragga il visitatore anche con le immagini(176)”.

“Il punto di partenza è la stessa Rivelazione, che ci testimonia come Dio abbia comunicato le sue meraviglie proprio nel linguaggio e nell’esperienza reale degli uomini, ‘secondo la cultura propria di ogni epoca’ (Gaudium et spes, 58), fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio Incarnato. La fede sempre penetra, arricchisce, esalta e vivifica la cultura, e questa, a sua volta, si fa veicolo della fede, a cui offre il linguaggio per pensarsi ed esprimersi(177)”. “È necessario, quindi, farsi attenti ascoltatori dei linguaggi degli uomini del nostro tempo, per essere attenti all’opera di Dio nel mondo(178)”. In questo contesto, è importante il lavoro che svolge il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali nell’approfondire la ‘cultura digitale’, stimolando e sostenendo la riflessione per una maggiore consapevolezza circa le sfide che attendono la comunità ecclesiale e civile(179)”.

“Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo(180)”. Quanti hanno responsabilità nella Chiesa devono  “essere in grado di capire, interpretare e parlare il ‘nuovo linguaggio’ dei media in funzione pastorale (cfr. Aetatis novae, 2), in dialogo con il mondo contemporaneo(181)” interrogandosi sulle sfide che il “cosiddetto ‘pensiero digitale’ pone alla fede e alla teologia(182)” in termini di domande e richieste. “Se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione. La teologia, secondo una classica definizione, è intelligenza della fede, e sappiamo bene come l’intelligenza, intesa come conoscenza riflessa e critica, non sia estranea ai cambiamenti culturali in atto. La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via.

Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo.

Nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo(183)”. Altro elemento imprescindibile e propedeutico, anzi vera pietra angolare, è il porre in evidenza il valore delle istituzioni religiose.

“Non si può contestare il fatto che la fede cristiana fin dalle origini non ha voluto essere solo un’idea ma che è entrata nel mondo provvista di elementi istituzionali (ministero apostolico, successione apostolica) e che la forma istituzionale della Chiesa è, quindi, parte essenziale della fede.

Ma le istituzioni possono vivere solo se sostenute da convinzioni fondamentali comuni e se esiste un’evidenza dei valori che fondano la loro identità. Il fatto che questa evidenza non sia pacifica è la vera ragione della crisi attuale della Chiesa. Colui che difende la dottrina trinitaria, la cristologia, la struttura sacramentale della Chiesa, la sua origine in Cristo, il ministero petrino o l’insegnamento morale fondamentale della Chiesa, ecc. e che deve far passare il loro disconoscimento come incompatibile con l’istituzione Chiesa, colpisce a vuoto se si diffonde l’opinione che tutto ciò è senza importanza. È in questo modo che una istituzione diventa una carcassa vuota e va in rovina, anche se esteriormente resta potente o dà l’impressione di poggiare su solide fondamenta. È per questa ragione che le decisioni istituzionali del Magistero possono diventare feconde solo se si legano a una lotta seria, convinta, per una nuova evidenza delle opzioni portanti della fede(184)”.

Lo stesso Benedetto XVI ha affermato, poi, che il pericolo più grande per la Chiesa è al suo interno.

Di fronte ad una tale minaccia, “il Santo Padre chiama tutti i cattolici a un’opera di autoriforma e spinge tutta la Chiesa a compiere un cammino di purificazione. Questa indicazione è senza dubbio una provocazione non solo per il mondo ecclesiale, ma per la stessa società civile. Tale linea di marcia non è affatto ‘spiritualista’, come afferma qualcuno; al contrario, racchiude un’immensa forza rinnovatrice, una forza di concretezza e di azione che la storia già conosce. In una stagione in cui tendenzialmente tutti cercano di difendere se stessi e, all’occorrenza di denigrare gli altri, il Papa invita a battersi il petto e a non guardare alle colpe altrui, chiamando in causa la coscienza individuale perché dinanzi a Dio ognuno si riconosca nella verità.

È evidente che l’insidia maggiore nasce sempre dal di dentro e non dal di fuori. Ciò che fa vacillare, infatti, non sono gli attacchi, anche virulenti, che possono esserci da parte di chi nutre pregiudizi o ostilità nei riguardi della fede, ma quelli da parte di chi alla fede si appella, rinnegandola poi nel concreto con l’insipienza e lo scandalo dei suoi comportamenti. La minaccia dall’interno, dunque, è più subdola e chiede di essere smascherata attraverso un lineare riconoscimento dei fatti, seguendo un rigoroso percorso di penitenza che non ammette ritardi o attenuanti. Se, come è credibile, la crisi che si sta attraversando ha un senso, esso consiste proprio nel ritornare con umiltà alle sorgenti del Vangelo, che chiama ogni generazione di cristiani a dare ragione della propria speranza con le parole e con la vita(185)”. Va  compreso, tuttavia, che “la Chiesa non si può fare, che non è il prodotto della nostra organizzazione: la Chiesa deve nascere dallo Spirito Santo. Come il Signore stesso è stato concepito ed è nato dallo Spirito Santo, così anche la Chiesa deve essere sempre concepita e nascere dallo Spirito Santo. Solo con questo atto creativo di Dio noi possiamo entrare nell’attività di Dio, nell’azione divina e collaborare con Lui. In questo senso, anche tutto il nostro lavoro (…) è un collaborare con lo Spirito Santo, con la forza di Dio che ci previene. E sempre dobbiamo di nuovo implorare il compiersi di questa iniziativa divina, nella quale noi possiamo poi essere collaboratori di Dio e contribuire a far sì che di nuovo nasca e cresca la sua Chiesa(186)”.

“E tutti i giorni inizieremo il nostro lavoro invocando lo Spirito Santo con la preghiera dell’Ora Terza ‘Nunc sancte nobis Spiritus(187)”. “A questo punto forse è utile dire che anche oggi esistono visioni secondo le quali tutta la storia della Chiesa nel secondo millennio sarebbe stata un declino permanente; alcuni vedono il declino già subito dopo il Nuovo Testamento.

In realtà, ‘Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt’, le opere di Cristo non vanno indietro, ma progrediscono.

Che cosa sarebbe la Chiesa senza la nuova spiritualità dei Cistercensi, dei Francescani e Domenicani, della spiritualità di santa Teresa d’Avila e di san Giovanni della Croce, e così via?

Anche oggi vale questa affermazione: ‘Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt’, vanno avanti.

San Bonaventura ci insegna l’insieme del necessario discernimento, anche severo, del realismo sobrio e dell’apertura a nuovi carismi donati da Cristo, nello Spirito Santo, alla sua Chiesa.

E mentre si ripete questa idea del declino, c’è anche l’altra idea, questo “utopismo spiritualistico”, che si ripete.

Sappiamo, infatti, come dopo il Concilio Vaticano II alcuni erano convinti che tutto fosse nuovo, che ci fosse un’altra Chiesa, che la Chiesa pre-conciliare fosse finita e ne avremmo avuta un’altra, totalmente ‘altra’.

Un utopismo anarchico! E grazie a Dio i timonieri saggi della barca di Pietro, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, da una parte hanno difeso la novità del Concilio e dall’altra, nello stesso tempo, hanno difeso l’unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di Grazia(188)”.

Inoltre, “come il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in Cristo(189)”.

“La Chiesa è concepita come il corpo, di cui Cristo è il capo, e forma con Lui un tutt’uno. Tuttavia ciò che all’Apostolo preme comunicare è l’idea dell’unità nella molteplicità dei carismi, che sono i doni dello Spirito Santo. Grazie ad essi, la Chiesa si presenta come un organismo ricco e vitale, non uniforme, frutto dell’unico Spirito che conduce tutti ad unità profonda, assumendo le diversità senza abolirle e realizzando un insieme armonioso. Essa prolunga nella storia la presenza del Signore risorto, in particolare mediante i Sacramenti, la Parola di Dio, i carismi e i ministeri distribuiti nella comunità. Perciò, è proprio in Cristo e nello Spirito che la Chiesa è una e santa, cioè un'intima comunione che trascende le capacità umane e le sostiene(190)”. 

Infine, va considerato che “la Chiesa è attaccata anche per screditarne la missione educatrice. Il Papa è talora oggetto di manipolazioni di stampa perché fedele alla tradizione cristiana. Esiste certamente un risentimento per il fatto che la Chiesa rimane forte: così si cerca di indebolirla in tutti i modi. Soprattutto in Europa vediamo una forte opposizione alla Chiesa, al Papa e alle sue iniziative. Le forze occulte all’opera in Europa hanno capito quanto sia intelligente Benedetto XVI e, quindi, lo criticano in ogni situazione, proprio mentre egli vuole applicare fino in fondo il Concilio Vaticano II su quale sia la vera idea della Chiesa nel mondo.

Il messaggio della Chiesa, tuttavia, viene ormai considerato pure in ambito “laico” in quanto la dignità dell’uomo, cardine del messaggio sociale cattolico, è riconosciuta fondamentale anche fuori dal recinto ecclesiale(191)”. Oggi più che mai, il compito della Chiesa, non è manifestare i fondamenti della vita civile (essi sono a tutti accessibili alla luce della ragione), ma aiutare gli uomini, attraverso un dialogo costante, a riconoscerli in quanto inscritti nella loro natura(192)

Perché la Chiesa possa assolvere questo compito è necessario che tutti noi cristiani abbiamo a “interrogarci su che cosa possiamo fare per riparare il più possibile l’ingiustizia avvenuta. Dobbiamo chiederci che cosa era sbagliato nel nostro annuncio, nell’intero nostro modo di configurare l’essere cristiano. Dobbiamo trovare una nuova risolutezza nella fede e nel bene. Dobbiamo essere capaci di penitenza”, gridando come nel tempo della prova e della povertà:  “Excita, Domine, potentiam tuam, et veni”, perché il Signore ci svegli “dal sonno di una fede divenuta stanca" e ci dia “il potere di spostare i monti - cioè di dare l’ordine giusto alle cose”.

Il Papa, nel suo ruolo di Pastore, è riconosciuto come voce autorevole per la riflessione etica dell’umanità(193).

Inoltre, “la formazione autenticamente cristiana della coscienza è decisiva per l’equilibrio di una comunità umana(194). E tra gli ambiti più critici in cui si deve agire vi è quello della “lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo”, il cui “campo primario e cruciale è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. Si tratta di un ambito delicatissimo e decisivo, in cui emerge con drammatica forza la questione fondamentale:  se l’uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio. Le scoperte scientifiche in questo campo e le possibilità di intervento tecnico sembrano talmente avanzate da imporre la scelta fra le due razionalità:  quella della ragione aperta alla trascendenza e quella della ragione chiusa all’immanenza (Enciclica Caritas in veritate, 29 giugno 2009, n. 74)(195)”. Gli animatori della cultura e della comunicazione sono “segno vivo di quanto ‘i moderni mezzi di comunicazione siano entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono, entrando in contatto con il proprio territorio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio(196)’. Le voci, in questo campo, in Italia non mancano:  basti qui ricordare il quotidiano Avvenire, l’emittente televisiva TV2000, il circuito radiofonico inBlu e l’agenzia di stampa SIR, accanto ai periodici cattolici, alla rete capillare dei settimanali diocesani e agli ormai numerosi siti internet di ispirazione cattolica(197)”. Sono esortati “tutti i professionisti della comunicazione a non stancarsi di nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che diventa tensione ad avvicinarsi sempre più ai suoi linguaggi e al suo vero volto(198)”. Li “aiuterà in questo una solida preparazione teologica e soprattutto una profonda e gioiosa passione per Dio, alimentata nel continuo dialogo con il Signore.

Le Chiese particolari e gli istituti religiosi, dal canto loro, non esitino a valorizzare i percorsi formativi proposti dalle Università Pontificie, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dalle altre Università cattoliche ed ecclesiastiche, destinandovi con lungimiranza persone e risorse. Il mondo della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale(199)”. Gli “operatori della cultura in ogni sua forma, creatori di pensiero e di opinione(200)” hanno grazie al loro “talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano(201)”. (...) E non abbiano paura di confrontarsi “con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti(202)”, con chi come loro “si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita’ (Discorso agli artisti, 21 nov. 2009). 

Proprio con lo scopo di ‘mettere il mondo moderno in contatto con le energie vivificanti e perenni del Vangelo’ (Giovanni XXIII, Cost. ap. Humanae salutis, 3), si è realizzato il  Concilio  Vaticano II,  nel quale  la Chiesa,  partendo da  una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita. L’evento conciliare ha messo i presupposti per un autentico rinnovamento cattolico e per una nuova civiltà - la ‘civiltà dell’amore’ - come servizio evangelico all’uomo e alla società (203)”. 

Nella prima metà del 2011, come annunciato (204), è stato attivato un nuovo “portale multimediatico” dove affluiscono le notizie pubblicate da “L’Osservatore Romano”, dalla Radio Vaticana e dall’agenzia Fides: una sorta di portale Vatican news - inizialmente in italiano e inglese, poi anche francese, spagnolo e portoghese - che raccoglierà tutte le presenze mediatiche della Santa Sede, le quali manterranno comunque la propria autonomia e individualità(205). Un’altra novità è l’arrivo di un sacerdote di lingua araba che collaborerà con il Pontificio Consiglio. “Ciò è molto importante nell’attuale contesto perché permette di seguire da vicino i media di lingua araba per cercare di capire quanto sta accadendo in quell’area e di verificare in che misura si fa riferimento al Papa e alla Chiesa(206)”. Anche le Istituzioni culturali religiose hanno il loro preciso ruolo da svolgere. È Sua Santità Benedetto XVI stesso a proporre alcune “riflessioni sulle finalità e sulla missione specifica delle benemerite Istituzioni culturali della Santa Sede(207)” di cui le Pontificie Accademie fanno parte e “vantano una variegata e ricca tradizione di ricerca e di impegno in diversi settori(208)”.

Va, innanzitutto, tenuto presente che “alla carenza di punti di riferimento ideali e morali, che penalizza particolarmente la convivenza civile e soprattutto la formazione delle giovani generazioni, deve corrispondere un’offerta ideale e pratica di valori e di verità, di ragioni forti di vita e di speranza, che possa e debba interessare tutti, soprattutto i giovani(209)”.Inoltre, “la cultura contemporanea, e ancor più gli stessi credenti, infatti, sollecitano continuamente la riflessione e l'azione della Chiesa nei vari ambiti in cui emergono nuove problematiche e che costituiscono anche settori in cui opera(no le Pontificie Accademie - n.d.r.), come la ricerca filosofica e teologica; la riflessione sulla figura della Vergine Maria; lo studio della storia, dei monumenti, delle testimonianze ricevute in eredità dai fedeli delle prime generazioni cristiane, a cominciare dai Martiri; il delicato ed importante dialogo tra la fede cristiana e la creatività artistica(210) (…)”.

“In questi delicati spazi di ricerca e di impegno(211)”, le Pontificie Accademie sono chiamate “a offrire un contributo qualificato, competente e appassionato, affinché tutta  la  Chiesa,  e  in   particolare  la  Santa  Sede,  possa  disporre   di  occasioni,  di linguaggi e di mezzi adeguati per dialogare con le culture contemporanee e rispondere efficacemente alle domande e alle sfide che l’interpellano nei vari ambiti del sapere e dell’esperienza umana(212)”. Più in particolare, poi, “una delle Accademie è intitolata a San Tommaso d’Aquino, il Doctor Angelicus et communis, un modello sempre attuale a cui ispirare l’azione e il dialogo delle Accademie Pontificie con le diverse culture.

Egli, infatti, riuscì ad instaurare un confronto fruttuoso sia con il pensiero arabo, sia con quello ebraico del suo tempo, e, facendo tesoro della tradizione filosofica greca, produsse una straordinaria sintesi teologica, armonizzando pienamente la ragione e la fede. Egli lasciò già nei suoi contemporanei un ricordo profondo e indelebile, proprio per la straordinaria finezza e acutezza della sua intelligenza e la grandezza e originalità del suo genio, oltre che per la luminosa santità della vita. Il suo primo biografo, Guglielmo da Tocco, sottolinea la straordinaria e pervasiva originalità pedagogica di San Tommaso, con espressioni che possono ispirare anche le (…) azioni (delle Pontificie Accademie - n.d.r.):  ‘Frà Tommaso - egli scrive - nelle sue lezioni introduceva nuovi articoli, risolveva le questioni in un modo nuovo e più chiaro con nuovi argomenti. Di conseguenza, coloro che lo ascoltavano insegnare tesi nuove e trattarle con metodo nuovo, non potevano dubitare che Dio l’avesse illuminato con una luce nuova:  infatti, si possono mai insegnare o scrivere opinioni nuove, se non si è ricevuta da Dio una ispirazione nuova?’ (Vita Sancti Thomae Aquinatis, in Fontes Vitae S. Thomae Aquinatis notis historicis et criticis illustrati, ed. D. Prümmer M.-H. Laurent, Tolosa, s.d., fasc. 2, p. 81)(213)”. “Il pensiero e la testimonianza di San Tommaso d’Aquino ci suggeriscono di studiare con grande attenzione i problemi emergenti per offrire risposte adeguate e creative. Fiduciosi nella possibilità della ‘ragione umana’, nella piena fedeltà all’immutabile depositum fidei, occorre - come fece il ‘Doctor Communis’ - attingere sempre alle ricchezze della Tradizione, nella costante ricerca della ‘verità delle cose’. Per questo, è necessario che le Pontificie Accademie siano oggi più che mai Istituzioni vitali e vivaci, capaci di percepire acutamente sia le domande della società e delle culture, sia i bisogni e le attese della Chiesa, per offrire un adeguato e valido contributo e così promuovere, con tutte le energie ed i mezzi a disposizione, un autentico umanesimo cristiano(214)”.

Anche per il fondamentale giornalismo cattolico, il cui ruolo appare con evidenza delicato e complesso nella sfida comunicativa per la Chiesa e per quanti condividono la sua missione, sono necessari requisiti molto impegnativi, come ricorda il Santo Padre: “Chi opera nei mezzi della comunicazione, se non vuole essere solo ‘un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna’ (1 Cor13, 1),  come direbbe san Paolo, deve avere forte in sé l’opzione di fondo che lo abilita a trattare le cose del mondo ponendo sempre Dio al vertice della scala dei valori. I tempi che stiamo vivendo, pur avendo un notevole carico di positività, perché i fili della storia sono nelle mani di Dio e il suo eterno disegno si svela sempre più, restano segnati anche da tante ombre). Il compito “è quello di aiutare l’uomo contemporaneo ad orientarsi a Cristo, unico Salvatore, e a tenere accesa nel mondo la fiaccola della speranza, per vivere degnamente l’oggi e costruire adeguatamente il futuro(215)”.

“La connotazione ‘cattolica’, con la responsabilità che ne deriva di esservi fedeli in modo esplicito e sostanziale, attraverso il quotidiano impegno di percorrere la strada maestra della verità. La ricerca della verità dev’essere perseguita dai giornalisti cattolici con mente e cuore appassionati, ma anche con la professionalità di operatori competenti e dotati di mezzi adeguati ed efficaci. Ciò risulta ancora più importante nell’attuale momento storico, che chiede alla figura stessa del giornalista, quale mediatore dei flussi di informazione, di compiere un profondo mutamento. Oggi, ad esempio, nella comunicazione ha un peso sempre maggiore il mondo dell’immagine con lo sviluppo di sempre nuove tecnologie; ma se da una parte tutto ciò comporta indubbi aspetti positivi, dall’altra l’immagine può anche diventare indipendente dal reale, può dare vita ad un mondo virtuale, con varie conseguenze, la prima delle quali è il rischio dell’indifferenza nei confronti del vero. Infatti, le nuove tecnologie, assieme ai progressi che portano, possono rendere interscambiabili il vero e il falso, possono indurre a confondere il reale con il virtuale. Inoltre, la ripresa di un evento, lieto o triste, può essere consumata come spettacolo e non come occasione di riflessione. La ricerca delle vie per un’autentica promozione dell’uomo passa allora in secondo piano, perché l’evento viene presentato principalmente per suscitare emozioni. Questi aspetti suonano come campanello d’allarme:  invitano a considerare il pericolo che il virtuale allontani dalla realtà e non stimoli alla ricerca del vero, della verità”.

In tale contesto, la stampa cattolica è chiamata, in modo nuovo, ad esprimere fino in fondo le sue potenzialità e a dare ragione giorno per giorno della sua irrinunciabile missione. La Chiesa dispone di un elemento facilitante, dal momento che la fede cristiana ha in comune con la comunicazione una struttura fondamentale:  il fatto che il mezzo ed il messaggio coincidono; infatti il Figlio di Dio, il Verbo incarnato, è, allo stesso tempo, messaggio di salvezza e mezzo attraverso il quale la salvezza si realizza.

E questo non è un semplice concetto, ma una realtà accessibile a tutti, anche a quanti, pur vivendo da protagonisti nella complessità del mondo, sono capaci di conservare l’onestà intellettuale propria dei ‘piccoli’ del Vangelo(216)”. Vi è, poi, il mondo accademico che “sostenendo i valori culturali e spirituali della società e insieme offrendo a essi il proprio contributo, svolge il prezioso servizio di arricchire il patrimonio intellettuale della nazione e di fortificare le fondamenta del suo futuro sviluppo(217)”. Dunque, “la Chiesa ritiene come sua missione prioritaria, nella cultura attuale, tenere sveglia la ricerca della verità e, conseguentemente, di Dio; portare le persone a guardare oltre le cose penultime e mettersi alla ricerca delle ultime(218)”. L’invito è “ad approfondire la conoscenza di Dio così come Egli si è rivelato in Gesù Cristo per la nostra piena realizzazione(219)”. 

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(145) Marc Leclerc, Pontificia Università Gregoriana, Un volto tra la natura e il divino, L’Osservatore Romano, 7 agosto 2009.

(146) Cardinale Angelo Scola, Patriarca di Venezia, in: Paolo Viana, Intervista a Scola: nell’umanità tanto desiderio d’infinito, Avvenire, 26 agosto 2010.

(147) Con Atm, The Automatic Confession Machine, dell’artista canadese Greg Garvey.

(148) Derrick De Kerckhove, massmediologo di fama internazionale, già collaboratore di Marshall McLuhan, attualmente docente all’Università Federico II di Napoli.

(149), (150) Cardinale Angelo Scola, ibid.

 (151) Benedetto XVI, Udienza ai partecipanti al Congresso Internazionale della Stampa Cattolica, Città del Vaticano, Palazzo Apostolico, Sala Clementina, 7 ottobre 2010. 

(152) La rete sta diventando il primo luogo di formazione dei giovani, Avvenire, 13 nov 2009, pag. 20.

(153) Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza episcopale italiana; intervista di Marco Bellizi,  “Testimoni credibili in una società in crisi”,  L’Osservatore Romano - 14 luglio 2010.

(154), (155) Benedetto XVI; Discorso alla plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica, dal Vaticano, 7 febbraio 2011.

(156) Benedetto XVI, Discorso in udienza concessa ai partecipanti al Convegno sul tema “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale” promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana, Città del Vaticano, Aula Paolo VI, 24 aprile 2010.

(157) Benedetto XVI,  Discorso al mondo della cultura del Portogallo, Centro culturale di Belém, Lisbona, 12 maggio 2010.

(158) Benedetto XVI, Discorso in udienza concessa ai partecipanti al Convegno sul tema “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale” promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana, Città del Vaticano, Aula Paolo VI, 24 aprile 2010.

(159), (160)  Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Saluti al Santo Padre Benedetto XVI  alla plenaria del Dicastero, Città del Vaticano, Palazzo Apostolico, Sala Clementina, 28 febbraio 2011.

(161) Arcivescovo Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), Prefazione al libro di Mons. Domenico Pompili, Direttore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali e portavoce della Cei, dal titolo “Il nuovo nell’antico. Comunicazione e testimonianza nell’era digitale”, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2011.

(162) Mons. Paul Tighe, Segretario Pontificio Consiglio Comunicazioni sociali, Intervento alla riunione della Commissione episcopale europea per i media (Ceem), Città del Vaticano, 13 novembre 2009.

(163) Benedetto XVI; Discorso alla plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica, Città del Vaticano, 7 febbraio 2011.

(164) In un Messaggio del 2009.

(165) Francesco Ognibene, C’è un Dio sul Web 2.0, Avvenire, 24 gennaio 2010.

(166) Abs rimaneggiato da: Marco Tibaldi,  Teologi a lezione di comunicazione, L’Osservatore Romano, 16 ottobre 2009.

(167) - (171) Di Maio Andrea, Il concetto di comunicazione. Saggio di lessicografia filosofica e teologica sul tema “communicare” in Tommaso d’Aquino, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1998, pag.66.

(172) Abs rimaneggiato da: Marco Tibaldi,  Teologi a lezione di comunicazione, L’Osservatore Romano, 16 ottobre 2009.

(173) Arcivescovo Mauro Piacenza, titolare di Vittoriana e Segretario della Congregazione per il Clero, Alleniamoci alle domande fondamentali, L’Osservatore Romano - 12 novembre 2009.

(174) Benedetto XVI, Discorso alla plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Città del Vaticano, Palazzo Apostolico, Sala Clementina, 28 febbraio 2011.

(175) Rif. e abs rimaneggiato: Marguerite A. Peeters Direttore di Dialogue Dynamics (Bruxelles), L’imposizione del linguaggio, L’Osservatore Romano, 23 ottobre 2009.

(184) Cardinale Joseph Ratzinger, Risposta al Cardinale Eyt in relazione alla provocazione al dialogo insita nell’Intervento alla Sorbona in cui si intende  invitare a “porsi con rinnovata franchezza e fermezza le questioni fondamentali che il Papa nell’enciclica Fides et ratio ha proposto come un impegno comune alla cristianità” (1998).

(185) Marco Bellizi,  Testimoni credibili in una società in crisi.  Intervista al cardinale Angelo Bagnasco presidente della Conferenza episcopale italiana, L’Osservatore Romano - 14 luglio 2010.

(186), (187) Benedetto XVI, Meditazione nel corso della prima Congregazione Generale della II Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi, dopo la lectio brevis dell’Ora Terza, Città del Vaticano, Aula del Sinodo, 5 ottobre 2009.

(188) Benedetto XVI, Catechesi dell’Udienza Generale, Città del Vaticano 16 giugno 2010.

(189) San Paolo, Prima Lettera ai Corinzi (1 Cor 12, 12-13).

(190) Benedetto XVI, Angelus della festa di San Francesco di Sales, Piazza San Pietro, Città del Vaticano, domenica 24 gennaio 2010.

(191) Lorenzo Fazzini, Contrordine, laici: la Chiesa è più avanti. Intervista al prete antropologo belga Ries, storico delle religioni di fama mondiale, docente emerito all’università cattolica di Lovanio; Agorà, Avvenire, 27 apr 2010 pag. 27.

(192) Francesco Ventorino, Quando la coscienza è una finestra sulla verità, L’Osservatore Romano, 25 dicembre 2010.

(193) Benedetto XVI, Discorso al mondo universitario e ai rappresentanti accademici e delle istituzioni culturali della Repubblica Ceca, castello di Praga 27 settembre 2009.

(194), (195) Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi della Conferenza episcopale regionale «Sul 1» del Brasile in visita in visita ad limina Apostolorum, Città del Vaticano, 14 novembre 2010.

(196)  Benedetto XVI, Discorso in Piazza di Spagna, 8 Dicembre 2009.

(197) - (199) Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al convegno promosso dalla Conferenza episcopale italiana sul tema “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell'era crossmediale” ricevuti in udienza, Città del Vaticano, ula Paolo VI, 24 aprile 2010.

(200) - (203) Benedetto XVI,  Discorso al mondo della cultura del Portogallo, Centro culturale di Belém, Lisbona, 12 maggio 2010.

(204) - (205) - (206) Arcivescovo Claudio Maria Celli, Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, Annuncio dato durante la plenaria del dicastero, Città del Vaticano, Via della Conciliazione, 28 febbraio /3 marzo 2010). 

(207) - (208), (209) - (214)  Benedetto XVI, Discorso alle Pontificie Accademie ricevute in udienza in occasione della quattordicesima Seduta Pubblica sul tema “La formazione teologica del presbitero”, Città del Vaticano, Palazzo Apostolico, Sala Clementina, 28 gennaio 2010.

(215), (216)  Benedetto XVI, Udienza ai partecipanti al Congresso Internazionale della Stampa Cattolica, dal Vaticano, 7 ott. 2010. 

(217) Benedetto XVI, Discorso al mondo universitario e ai rappresentanti accademici e delle istituzioni culturali della Repubblica Ceca, castello di Praga 27 settembre 2009.

(218) - (219) Benedetto XVI,  Discorso al mondo della cultura del Portogallo, Centro culturale di Belém, Lisbona, 12 maggio 2010.

 

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Abstract da:

Raimondo Villano “Logos e teofania nel tempo digitale”, Parte III, Capitolo XI, Chiron, giugno 2012, pag. 260.

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