Abstract :A17. Tempo digitale |
Nel suo esistere, l’uomo vive in due coordinate fondamentali: lo spazio e il tempo, due realtà che non si costruiscono, ma che gli sono date. In altre parole, l’uomo è legato allo spazio e al tempo in tutte le sue azioni, e lo è anche nella preghiera che rivolge a Dio.
“Aristotele ha tratteggiato una visione del mondo orientata in modo cosmocentrico, che oggi ancora ci colpisce per la chiarezza della sua logica e la coerenza della sua concezione. Questa visione del mondo è determinata dalla correlazione reciproca di tempo e di non tempo. Il cosmo stesso è perpetuo movimento circolare, che non ha né inizio né fine. Ma questo movimento ha bisogno per così dire di un motore, di una forza, che deve essere come esso stesso infinita, ma non può essere ancora una volta movimento. Il motore immobile è l’energia continua dell’universo. Poiché è immobile, è collocato al di fuori del tempo, dal momento che il tempo dipende dal movimento. La semplice immobilità, immutabilità, eternità è pertanto da caratterizzare come atemporalità. Il tempo è agganciato all’eternità, all’atemporalità. Il tempo dipende da ciò che è atemporale, riceve da lì la sua energia, ma l’eternità non è toccata dal tempo, bensì rimane pura in se stessa. Diversamente, infatti, sarebbe anch’essa movimento, diverrebbe anch’essa relativa e non potrebbe più sostenere ciò che è relativo. Il condizionato postula l’incondizionato. Poiché però questa realtà senza movimento è per sua essenza senza principio e senza fine, quindi anche il tempo può sempre essere senza principio e senza fine: la sua temporalità non dipende dal cominciare e dal venir meno, ma dalla persistenza del suo muoversi. Il tempo è puro movimento ed è definito dal movimento, come l’eternità è definita dal non movimento, dalla pura semplicità dell’essere(342)”. Nel mondo ebraico l’Antico Testamento è lontano dalla concezione ciclica del mondo classico. Perfino il tempo del cosmo è una realtà funzionale creata a servizio dell’uomo dalla “bontà eterna di Dio(343)”: lo dimostra l’episodio di Giosuè che ferma il sole (344), (345).
Dal tempo senza tempo degli antichi si giunge, poi, al Dio uomo nel tempo dell’uomo; il “tempo storico” che Dio impone agli uomini impone anche, e soprattutto, una riflessione profonda sulla fragilità umana a resistere alla fatica di questo “tempo da trascorrere”. Il Nuovo Testamento suggellando la visione cristiana, escatologica e teleologica, del tempo umano in relazione all’infinito ed all’Assoluto.
“La creazione è avvenuta davvero, come afferma il primo capitolo della Genesi, e il mondo non fu creato da una materia qualsiasi ma dal nulla. Dio creò la sostanza, non soltanto l’ordine e la disposizione delle cose: la Genesi a tal proposito è esplicita. Il tempo fu creato quando il mondo fu creato. Dio è eterno, nel senso che è senza tempo; in Dio non c'è né prima né dopo, ma solo un eterno presente. L’eternità di Dio è libera da ogni rapporto con il tempo. Egli non precedette la sua creazione del tempo, perché ciò implicherebbe che Egli stesse nel tempo, mentre Egli sta eternamente al di fuori della corrente del tempo, ciò conduce Sant’Agostino alla sua teoria del tempo. Egli si interroga su cosa sia il tempo:“Non ci fu dunque un tempo, durante il quale avresti fatto nulla, poiché il tempo stesso l’hai fatto tu; e non vi è un tempo eterno con te, poiché tu sei stabile, mentre un tempo che fosse stabile non sarebbe tempo. Cos'è il tempo? Chi saprebbe spiegarlo in forma piana e breve?
Chi saprebbe formarsene anche solo il concetto nella mente, per poi esprimerlo a parole? Eppure, quale parola più familiare e nota del tempo ritorna nelle nostre conversazioni? Quando siamo noi a parlarne, certo intendiamo, e intendiamo anche quando ne udiamo parlare altri. Cos'è dunque il tempo? Se nessuno mi interroga, lo so; se volessi spiegarlo a chi mi interroga, non lo so. Questo però posso dire con fiducia di sapere: senza nulla che passi, non esisterebbe un tempo passato; senza nulla che venga, non esisterebbe un tempo futuro; senza nulla che esista, non esisterebbe un tempo presente. Due, dunque, di questi tempi, il passato e il futuro, come esistono, dal momento che il primo non è più, il secondo non è ancora? E quanto al presente, se fosse sempre presente, senza tradursi in passato, non sarebbe più tempo, ma eternità. Se dunque il presente, per essere tempo, deve tradursi in passato, come possiamo dire anche di esso che esiste, se la ragione per cui esiste è che non esisterà? Quindi non possiamo parlare con verità di esistenza del tempo, se non in quanto tende a non esistere(346)”.
Da par suo, Sant’Agostino criticherà in modo serrante la concezione pagana del tempo come eterno ritorno, opponendogli il dogma della finitezza temporale del mondo terreno, poiché l’eternità è attributo unico ed indefettibile di Dio(347),. Con Sant’Agostino, dunque, si riflette sul difficile luogo dell’uomo nel tempo; egli è perplesso: né il passato né il futuro, ma soltanto il presente realmente è; il presente è solo un momento e il tempo può essere misurato soltanto mentre passa. Tuttavia, esistono realmente il tempo passato e il tempo futuro. Sembra di cadere in contraddizione. La via che Agostino trova per evitare queste contraddizioni è quella di considerare che il passato ed il futuro possono essere pensati solo come presente: ‘il passato’ come memoria, e ‘il futuro’ come attesa, e la memoria e l’attesa sono entrambe fatti presenti: “Il presente delle cose passate è la memoria; il presente delle cose presenti è la vista; e il presente delle cose future è l'attesa”.
Pur non risolvendo tutte le difficoltà, la svolta si verifica con l’intuizione che il tempo è soggettivo, risiedendo nella mente umana che attende, considera e ricorda.
Ne consegue che non ci può essere tempo senza un essere creato e che parlare del tempo prima della creazione è insensato. Al limite tra mondo antico e medioevale diventa critico il problema del libero arbitrio che fa porre l’interrogativo su come possa essere libero l’uomo se è Dio ad avere il governo del tempo umano: da Anicio Manlio Torquato Severino Boezio(348) (che innesta una lettura del concetto di tempo umano e tempo divino con argomenti che influiscono potentemente su tutto l’immaginario medievale: nell’uomo il passato è irrimediabilmente perduto, il futuro è ignoto, il presente è inafferrabile, mentre in Dio il tempo è sempre presente ab aeterno ad aeternum(349)) a Sant’ Anselmo d’Aosta(350) si giunge a riconoscere che Dio ha prescienza della libertà umana, ha conoscenza di un presente che non viene mai meno.
In epoca carolingia resta l’azione umana che incide sul tessuto del tempo e, in epoca posteriore, l’ordine della natura ha un punto d’arrivo in Dio che non può più fare a meno dell’opera umana nel tempo: il significato della “natura creata che non crea”, il mondo è quello di essere compreso e riassunto nell’uomo solo in vista di un ritorno alla “natura increata e increante”. Il tempo intermedio tra l’origine e il ritorno è occupato dall’impegno dell’uomo di ricondurre tutto a Dio: non ci si può più lasciare nulla alle spalle, nemmeno la natura bruta e semplice: tutto il mondo deve essere inserito nel progresso del tempo. Nella città, poi, sovrasta il simbolo inquietante della vittoria dell’uomo laico sul tempo: l’orologio. Figlio di arti spregevoli come quelle meccaniche, l’orologio meccanico ha molto più in comune con la bruta intelligenza dei maestri fabbricatori di macchine da guerra che con la fine sapienza dei teologi. A differenza della meridiana o della clessidra, strumenti “naturali” che ben rappresentano la persistenza del continuum temporale immaginato dalla teologia, l’orologio meccanico impedisce allo spirito e alla mente speculativa di adagiarsi nel tempo in funzione delle proprie capacità speculative. L’ora frantumata in scatti meccanici dalla molla dell’orologio è uguale per la mente del contadino come per quella del vescovo. La “città terrena” nei rintocchi dell’orologio trova, dunque, una vera e propria “sincronia laica” e in un “universo del pressappoco” si apre il primo spiraglio verso “il mondo della precisione(351)”. La città, pertanto, ancor più di prima, diviene luogo della Storia umana.
Nell’occidente così “moderno” Tommaso d’Aquino riflette in maniera profonda sul rinnovato rapporto tra uomo e tempo donato da Dio e non può fare a meno di constatare, attraverso una fondamentale riscoperta di Aristotele, che l’uomo è costituzionalmente un animale “sociale” e quello che egli è corrisponde a ciò che “fa” sporcandosi le mani nella Storia sono la stessa cosa. Il tempo dell’uomo, in effetti, è il vero tempo di Dio per l’uomo. Così, essere nel tempo è strutturare saldamente la città terrena sul modello della città celeste, privilegiando la monarchia e cambiando le leggi, se sono ingiuste.
Nessuno dovrà più salire all’Oreb per ricevere la legge scritta da Dio, nessuno potrà più interrogare personalmente il Maestro: l’unica voce in grado di dare legge di Dio agli uomini è oramai solo l’uomo che contempli con la ragione il piano di Dio(352). “L’idea che l’eternità sia atemporalità e che così venga descritta l’essenza di Dio ha in qualche modo determinato anche il pensiero cristiano. Tommaso d’Aquino a partire da qui ha insegnato che fondamentalmente un cosmo senza principio e senza fine sarebbe perfettamente conciliabile con la fede cristiana; solo per una specifica rivelazione si verrebbe a conoscere che il mondo ha come creazione un principio e come storia una fine, ma dal punto di vista filosofico questo non sarebbe deducibile e non sarebbe in sé un concetto necessariamente connesso con la fede in Dio(353)”.
Nel corso del XIII sec. l’impronta di Dio sul tempo della Storia tende sempre più a scomparire, come impronta sulla sabbia, cancellata dall’onda ripetuta del “fare” umano sempre più efficace e sempre meno casuale.
Bacone intuisce, al di là delle anticipazioni tecnologiche, soprattutto che “la verità è figlia del tempo”: non Verità teologica - il Dio fine d ella storia è ormai spostato
inesorabilmente in avanti, alla fine dei tempi - ma già della certezza scientifica moderna, della verità con l’iniziale minuscola, declinata in risposte ai dubbi pratici dell’uomo(354).
Nel XIV secolo la nozione di tempo e di storia dell’uomo sono ormai pronti ad un ultimo deciso salto: se con Tommaso le leggi della città terrena sono ancora la copia delle leggi della città eterna, con Marsilio da Padova e il “defensor pacis” la legge e lo Stato, le vere uniche creazioni dell’uomo che vive compiutamente il tempo che gli è donato, sono tutte sue: fonte del diritto e delle regole è la collettività umana e la sua volontà e “dove non sono sovrane le leggi non vi è stato vero e proprio”. La convivenza umana si deve dare regole sue proprie.
Alla soglia della visione tagliente e chiarissima di Machiavelli, l’uomo è completamente padrone del suo tempo terreno e agisce inevitabilmente spinto dai suoi cinici appetiti e dalle sue più basse necessità piuttosto che dalla luce del Diritto Divino. Trovare le vie efficaci palesi e nascoste di questa azione, regolare il meccanismo dell’‘orologio’ uomo e del suo tempo meccanicamente determinato è il nuovo orizzonte(355).
Anche Kant ha insegnato a concepire la comprensione gnoseologica del tempo quale pura forma dell’intuizione dello spirito, conseguendone un pensiero fondamentalmente atemporale.
Per Einstein, poi, spazio e tempo non sono condizioni in cui viviamo bensì sono semplicemente modi di pensare.
Per Bonhoeffer(356), invece, il tempo è reale in quanto non si fonda su una forma a priori ma sulla decisione esistenziale, inscindibile dalla condizione di responsabilità nei confronti di valori o di persone.
La persona non esiste in spiritualità e pienezza di valori atemporali ma è in posizione di responsabilità al centro del tempo, e non nel suo continuo scorrere, bensì nell’attimo riferito al valore-non colmato di valore! (Nel concetto dell’attimo, però, il concetto di tempo e il suo riferimento al valore si intrecciano). Non si tratta di una frazione del tempo, la più breve possibile, come un atomo concepito meccanicamente; un ‘attimo’ è il tempo della responsabilità, del riferimento al valore, del riferimento a Dio, e, cosa essenziale, è tempo concreto in cui esclusivamente si compie l’interpellanza reale dell’etica e, inoltre, solo nella responsabilità si è pienamente consci del proprio essere vincolato al tempo.
“Nel nostro tempo, andando oltre la certamente convincente concezione aristotelico-cristiana di San Tommaso, si è affermato un singolare sviluppo dell’idea di eternità come atemporalità.
In una vasta corrente di teologia, infatti, si sostiene l’opinione che la temporalità è legata alla corporeità e pertanto l’uscire dell’uomo dal corpo nella morte significa anche l’uscire dal tempo nell’atemporalità, idea che naturalmente nel sistema aristotelico non poteva emergere.
Chi, dunque, abbandona la corporeità determinata in modo fisico-biologico non potrebbe entrare in una fase intermedia nell’attesa della fine del tempo.
Egli si troverebbe di fatto totalmente al di fuori del tempo nell’eternità, che sarebbe atemporalità. Egli sarebbe situato al di là del tempo. In questo caso il giudizio e la fine del tempo non potrebbero essere pensati come ancora da attendere, perché ciò significherebbe introdurre nuovamente elementi temporali, laddove non esiste più nessun tempo. Essendo situati là ove è Dio, nell’atemporalità dell’eternità, ci si troverebbe ormai nel mondo già compiuto della risurrezione, al di là della storia, perché presso Dio, in quanto totalmente atemporale, tutto è già compiuto e ciò che all’interno del tempo è ancora da attendere là sarebbe già continuo presente.
Così la storia come tempo potrebbe continuare tranquillamente senza fine, mentre essa dall’altra parte sarebbe in realtà sempre già compiuta. Le sofferenze, che da una parte vengono patite, sarebbero dall’altra parte sempre già superate nella definitiva vittoria di Dio.
L’identificazione di eternità con atemporalità e l’appiattimento di tutto ciò che non è fisico nell’atemporalità introduce qui un dualismo di due mondi, nel quale la storia perde ogni aspetto di serietà: mentre noi crediamo di operare in essa con fatica, di là essa è ormai già passata.
La fine della storia non riguarda la storia stessa, ma si situa laddove semplicemente non vi è nessuna storia.
Questo dualismo rimane incomprensibile, per quanto ampiamente oggi esso sia diffuso con la teoria della “risurrezione nella morte”, che di fatto presuppone proprio questa idea della morte come uscita dal tempo, in cui tutto ciò che a noi sembra futuro, già è presente senza tempo.
Una cosa, comunque, emerge con evidenza: per la chiarificazione del concetto di tempo è necessario anche l’approfondimento del concetto di eternità così come la distinzione dei livelli di tempo.
Il tempo non è solo un fenomeno fisico.
L’esistenza del tempo non dipende solo dal movimento degli astri, vi è movimento anche nell’ambito del cuore, dello spirito.
Ed a partire da qui ci si deve chiedere se la relazione di Dio con il mondo e con il tempo possa essere descritta in modo adeguato semplicemente con il concetto dell’atemporalità.
Ciò che nel sistema cosmico di Aristotele è perfettamente logico e corretto diviene contraddittorio se lo si mette in relazione con la concezione cristiana di Dio, con il Dio che non solo muove il mondo restando immobile, ma lo crea – con il Dio che dà inizio ad una storia, che contrae un’alleanza e questo fino al punto che egli stesso diviene un uomo.
Naturalmente non può semplicemente essere attribuita a Dio quella medesima modalità di temporalità che caratterizza l’uomo inserito nel cosmo e neppure l’uomo che nella morte è uscito dalla corporeità.
Se ci si contrappone qui ad un certo tipo di aristotelismo cristiano, ci si contrappone quindi anche ad Oscar Cullmann, che in comprensibile reazione all’aristotelismo ed al platonismo riteneva che nella Bibbia anche Dio appartenga al tempo e di conseguenza denomina tutto allo stesso modo tempo e storia.
Più precisa sembra già essere la proposta di Emil Brunner di definire l’eternità di Dio a partire dall’immagine cristiana di Dio, non come atemporalità, ma come dominio del tempo.
Il Dio della Bibbia non è una forza che riposa in se stessa, che tiene in movimento il mondo senza muovere se stessa. Quando Dante definisce Dio «l’amor che move il sole e l’altre stelle» (Paradiso XXXIII, 145), riecheggia certo chiaramente la visione aristotelica, ma con il concetto di «amor» è nondimeno enunciato qualcosa di nuovo: l’idea della relazione, che assume in sé l’altro e si lascia assumere in lui.
L’immagine delle mani, che abbracciano il tempo e così gli divengono contemporanee, mi sembra rendere nel modo migliore una rappresentazione della relazione di Dio con il tempo ed insieme della sua superiorità su di esso.
Troppo a lungo siamo restati all’interno della struttura concettuale aristotelica.
Ripensare l’essenza dell’eternità a partire dalle conoscenze e dalle esperienze della fede cristiana sembra essere un compito ancora ampiamente aperto.
Quando ci si inoltra in tale via, il rigido cosmocentrismo della visione aristotelica si dissolve da solo, perché non conta più soltanto il fenomeno del movimento fisico, ma anche il movimento dello spirito e così la storia, l’uomo, ottiene una sua propria dignità di collocazione(357)”.
Sant’Agostino, ancora, considera che, pur non sapendo che cosa sia il tempo, lo misuriamo e su tale misura organizziamo la nostra attività e giunge ad ammettere che forse il problema non sta tanto nel chiedersi che cosa possa o non possa essere misurato, quanto nell’usare con misura il concetto di misura.
Ontologicamente la temporalità come dimensione della realtà fisica è intrinsecamente legata all’essere sottomesso al continuo e irreversibile scorrere del tempo in un divenire non “tutto in una volta” bensì “a poco a poco” con un inizio e una fine. Questo carattere di non-essere parziale del tempo e del divenire indica una precarietà di situazione ontologica: gli enti soggetti al cambiamento non durano sempre e sono instabili nel possesso delle loro perfezioni.
Bisogna comunque aggiungere che nel mondo non tutto è pura temporalità. L’uomo, in particolare, dimostra una certa signoria sul tempo, poiché lo può misurare, organizzare, utilizzare come vuole, e col pensiero egli è capace di trascendere il tempo e di rapportarsi alla realtà eterna di Dio. Di conseguenza il tempo va preso in un senso analogico(358). La minaccia incombente nel caotico mondo è lo smisurato kronos, il tempo divoratore(359).
Un ordine umano è possibile soltanto passando dalla dismisura del krònos al kairós, il tempo governato e umanizzato come giusta misura, in cui sono definite sia l’identità collettiva umana che la coscienza individuale nello spazio simbolico della comunicazione, luogo del processo di umanizzazione.
In tale processo la parola, tuttavia, come già poc’anzi evidenziato a proposito delle instabilità nel possesso delle perfezioni, inevitabilmente è un punto di drammatica sperimentazione da parte dell’uomo quando essa mostra la sua caducità soccombendo di fronte alla morte.Krònos, rappresentato dalla forma del serpente primigenio, è sconfitto dal tempo divino fondato sul trionfo di Maria sul serpente, a ribaltare lo scacco di Eva.
Il concetto di kairós colma, soprattutto, l’abisso tra la verticalità del tempo divino e la contingente orizzontalità del tempo umano verificandosi nella circostanza in cui Dio interviene nella vicenda del mondo rivelando i suoi disegni. Il tempo acquisisce, in effetti, una significazione qualitativa di “tempo designato nello scopo di Dio” e di “tempo privilegiato dell’incontro con Dio”.
“La Bibbia fa conoscere Dio in modo originale, diverso dalle varie religioni e filosofie: i vari interventi divini nella realtà umana fanno della storia del mondo una storia sacra. Nella storia della salvezza Dio escogita liberamente una serie di interventi che si dispiegano in determinati momenti (kairói), che sono ordinati in vista della realizzazione di un disegno e che tendono progressivamente al compimento definitivo, all’éschaton.
precarietà di situazione ontologica: gli enti soggetti al cambiamento non durano sempre e sono
La Scrittura infatti si apre e si chiude con annotazioni temporali: ‘in principio Dio creò il cielo e la terra(360)’, ‘sì, vengo presto(361)’: dove nel principio è già contenuto il fine, e il fine realizza pienamente il principio. Tutta la Rivelazione biblica si presenta come una storia, una storia sempre in atto, ma che ha un lungo passato e non si compirà che nel futuro; la storia dei liberi e amorosi interventi di Dio nel mondo e della libera e amorosa risposta degli uomini. Emerge così un’originale concezione del tempo, che possiamo cogliere analizzando i termini greci chrònos, che indica il tempo in generale, il tempo nel suo corso (la ‘cronologia’, il ‘cronometro’) e kairós, che indica ciò che è decisivo, il punto essenziale, il momento favorevole che ci è dato, l’occasione, il vantaggio per ulteriori sviluppi. Ma mentre nella filosofia greca prevale la concezione ciclica del tempo, il tempo come ordine misurabile del movimento (cosmologico)(362), nella visione biblica vi è la concezione lineare del tempo: il tempo visto come una linea retta con un inizio e un fine, dove al centro vi è Cristo - il kairós di Dio - che orienta tutta la storia, prima e dopo di lui.
Nella visione biblica i due aspetti del tempo, quello regolato dai cicli della natura (tempo cosmico) e quello che si svolge nel fluire degli avvenimenti (tempo storico) sono da Dio governati allo stesso modo e orientati verso uno stesso fine. Perciò il tempo, in cui gli eventi di Dio si inscrivono, ha un valore sacro, non perché ripete il tempo primordiale in cui Dio ha creato il mondo una volta per sempre, ma in quanto apporta del nuovo man mano che le tappe del disegno di Dio si succedono, ciascuna con un suo significato particolare(363). Con la venuta di Gesù di Nazaret, dell’Eterno-nel-tempo, avviene la pienezza dei tempi annunciata dai profeti: ‘quando venne la pienezza dei tempi Dio mandò suo Figlio, nato da donna(364) ...’. O, come dice Gesù stesso iniziando la sua missione: ‘Il tempo è compiuto, il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo(365)’. L’idea non è quella di un tempo che si chiude, ma del tempo che porta a compimento le promesse, del tempo che finalmente si riempie di contenuto: di vita eterna. Gesù stesso rimprovera chi non sa cogliere questo ultimo definitivo kairòs di Dio: ‘Quando vedete una nuvola salire da ponente, dite: “Arriva la pioggia”, e così accade… Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo [chrónos], come mai questo tempo [kairós] non sapete valutarlo?(366)’.
“Grazie alla venuta di Dio sulla terra il tempo umano, iniziato nella creazione, ha raggiunto la sua pienezza. ‘La pienezza del tempo’, infatti, è soltanto l’eternità, anzi Colui che è eterno, cioè Dio. Entrare nella ‘pienezza del tempo’ significa dunque raggiungere il termine del tempo e uscire dai suoi confini, per trovarne il compimento nell’eternità di Dio(367)”. Se, quindi, Gesù è il kairós di Dio, allora il tempo precedente è stato una preparazione al tempo messianico, come una serie di abbozzi e di promesse che si compiono tutte in Gesù. Il tempo dopo Cristo ha il significato di realizzare negli uomini e nel mondo la partecipazione di quella realtà di vita che è in Gesù morto e risorto e che egli stesso comunica attraverso il dono dello Spirito Santo, il Paraclito che ‘insegna ogni cosa. Rivela le cose future, guida alla verità tutta intera(368)’. Così Gesù risorto, il Vivente, ‘Colui che viene’ è contemporaneo a ogni epoca, è lo stesso ‘ieri, oggi e sempre(369)’. L’aspirazione di Qoélet e degli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi trova in Gesù la sua realizzazione: chi crede, spera e ama Cristo raggiunge la pienezza dei tempi, la vera vita, eterna e gioiosa: ‘Questa è la vita eterna: conoscere Te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo(370)’. La vita piena è dunque relazione d’amore con Dio attraverso Gesù, relazione d’amore con i fratelli attraverso Gesù(371). Misura e dismisura dell’amore è l’eternità, o –come scrive ancora Kierkegaard – l’amore è ‘la direttissima per l’eternità’, perché nulla si interpone fra amare l’Eterno-nel-tempo e il compiere in ogni momento gli atti d’amore, gli unici che hanno il sapore della pienezza dei tempi, dell’eternità. Così la concezione cristiana dell’eternità non è quella di una lunga durata del chrónos, né quella di una noiosa contemplazione di essenze platoniche, bensì è un’eternità riempita di agàpe del Dio unitrino e della comunione dei ‘santi’, riempita della gioia grande che solo l’amore sa dare(372), (373)”.
In effetti, mentre “per l’uomo tribale lo spazio era il mistero incontrollabile, per l’uomo tecnologico è il tempo ad occupare lo stesso ruolo(374)”.
Con le tecnologie digitali da ovunque ed in qualsiasi momento si può essere “con gli occhi puntati dove confluisce la storia(375)”: si può, ad esempio, visitare da molte prospettive e con svariate tecnologie la “città eterna, Roma, città dello svelamento del senso nascosto della storia”, contemplandone la maestosità degli spazi di vita collettiva della città antica e, soprattutto, piazza San Pietro gremita in occasione di celebrazioni liturgiche e non si può rifuggire “dall’impressione di qualcosa di eterno: qualcosa che, nonostante epocali mutamenti di cultura e fede religiosa, in questo luogo continui nel tempo”.
Tale impressione, pur essendo sempre un surrogato nelle emozioni rispetto alla realtà partecipativa in loco ma in sostanza spiritualmente fondamentale, ad esempio, in caso di impedimenti fisici, è poi rafforzata dal fattore liturgico.
Sul piano antropologico, inoltre, le azioni rituali per loro stessa natura portano fuori dal tempo per introdurre nell’ambito dell’eterno mentre sul piano teologico la liturgia cattolica, in cui Cristo è realmente presente ed operante, abolisce il limite temporale aprendo il presente al remoto passato come al futuro ultimo.
D’altro canto, sul piano della traditio, la liturgia specificamente papale (il cui celebrante è, in effetti, lineare successore dell’Apostolo Pietro) pone in modo quasi tangibile a contatto con il passato in cui Pietro ricevette potere da Cristo, come anche con il futuro che determina tale potere di legare o di sciogliere dal peccato(376).
Con le potenti nuove tecnologie si può seguire da ovunque in qualsiasi momento, da qualsiasi prospettiva ed angolazione e con le modalità desiderate, ad esempio fin nei dettagli ed in primissimo piano o in un particolare istante a sua volta scomponibile, il Santo Padre o qualsiasi pastore o sacerdote che, soprattutto quando celebrano l’Eucaristia, in Cristo sono “mediatori” tra i tempi che furono e il presente, come anche tra Dio e il creato. Ancor di più, inoltre, merita che ci si soffermi in riflessione sul fatto che la tecnociviltà ed i suoi semiurghi, fabbricando prodotti e segni, confezionano il nostro quotidiano a livello planetario e fondono stampa, radio, fotografia, cinema, televisione, telefono in una telematica universale in cui la memoria, un tempo consegnata ai monumenti, si incarna in internet dove l’avvenire è inventato “in tempo reale” divenendo una sorta di paradosso del futuro che interroga il nostro presente(377).
Ma, soprattutto, va debitamente considerato che con molti dei processi digitali, a partire dalla realtà virtuale, si passa dal tempo estensivo dell’uomo al tempo intensivo delle macchine, dove il tempo in effetti diventa un luogo: la trogosfera.
Ciò può dischiudere eccezionali nuovi orizzonti in grado di rendere la vita più ricca di momenti di grande intensità tra gli innumerevoli intervalli(378) permettendo anche di presentire e riconoscere che ci si estende ben oltre questa vita materiale, che c’è il giudizio, la grazia e l’eternità. In tal senso i processi e le tecnologie digitali sono in grado anche di far trovare parole e modi nuovi per permettere all’uomo di sfondare il muro del suono del finito. Cogliendo, ad esempio, l’istante decisivo, l’attimo sospeso. L’atto dell’osservazione, infatti, può derivare da un modo di vivere che implica la collimazione sulla stessa linea di mira dell’occhio, della mente e del cuore. Una siffatta difficile disciplina implica il tentativo di affrontare la triplice sfida etica, intellettuale ed estetica. Uno sguardo di eccellenza lucido e partecipe, in effetti, in miracoloso equilibrio, che avvalendosi delle tecnologie virtuali sappia penetrare nella trogosfera sospendendo l’istante decisivo di vita, l’attimo sospeso, senza ucciderlo e senza ideologismo contenutistico, può restare attonito e sgomento di fronte alla enormità della rigorosa armonia formale ottenuta pur dentro la folgorazione spazio-temporale, tagliando nel vivo della vita, nel suo stesso accadere, inarrestabile, salvo che in quell’istante da quell’osservatore con le suo personal computer. Al di là di tutte le informazioni digitali che puntualmente può offrire lo strumento elettronico, il surplus di valore unico consiste in quel senso interno delle cose, nel palpito di vita che i fatti come gli oggetti, come le immagini prendono nella coscienza degli uomini, in quella profondità che soltanto sa e può dare la grande scrittura letteraria e, al di sopra, le Sacre scritture.
La nostra esistenza è scandita dal kronos, il tempo degli uomini che ne regola la storia terrena in contrapposizione al kairos, il tempo di Dio che trascende la dimensione temporale umana, il cui termine greco può tradursi con “attimo”. Ed è solo nell’attimo che l’essere umano può cogliere la sua individualità e misteriosità. Uno dei tratti caratteristici della postmodernità è la credenza di essere “dominatori del tempo”. Una presunzione che ci rende sterili di fronte alla possibilità che Nietzsche ci ha rivelato: l’amor fati. Il vivere ogni momento come fosse eterno. Il godere di ogni attimo della vita, anelando così l’eternità.
Con taluni processi digitali, quindi, si ha la possibilità di non vivere “il presente nella modalità del tempo che scorre, come l’istante puntuale di Kierkegaard, bensì il presente che ha uno spessore, una ‘piccola durata’, che portiamo in qualche modo con noi finché viviamo: essa si sfilaccia alle estremità, in effetti, per raggiungere il non ancora del futuro e il non più del passato, ma non scorre. Una condizione che riterrei definibile come sorta di anti-Aion(379), una particolare forma del tempo in cui l’adesso assume consistenza, in cui il presente è quasi corporeo e con spessore.Potrebbe essere definibile ‘piccola durata’ o ‘miniatura d’eternità’.
È essa che difende l’assoluto morale dei nostri atti contro la loro banalizzazione nello scorrere del tempo(380)”.
Quindi, considerando la condizione della nostra società contemporanea, vi è l’opportunità di discontinuità della nostra proiezione in velocità continua verso il futuro che vaporizza il quotidiano nell’inconsapevolezza dell’ hic e del nunc mutandolo in passato passato vacuo senza sedimento e senza radici, effimero e privo di sostanza, incapace di generare memoria, confronto, riflessione e carente di relazioni etiche e identitarie(381).
L’uomo, per corrispondere alla sua natura finita ma aperta all’infinito, partendo dai frammenti del tempo, in cui non può fermarsi, ha l’opportunità di interrogarsi al di là dei suoi attimi: si può aprire, dunque, alla dimensione del senso in una tensione finito-infinito(382) che, pur essendo senza sbocco, gli dà nella sua profonda interiorità il senso dell’insieme(383). Ci si può elevare al sapere della fede, la cui conoscenza instaura una relazione pur non esaurendola richiedendo fiducia e speranza nella trascendenza del senso.
Si può arrivare, dunque, ad un “salto della fede” dell’uomo che sa cogliere l’istante non come atomo del tempo, ma atomo dell’eternità, vivendo il kairós in cui “tempo e l’eternità si toccano”, una condizione di temporalità in cui il tempo taglia continuamente l’eternità e l’eternità penetra il tempo ed in cui acquista nuovo significato la divisione del tempo presente, passato e futuro(384). Il nesso fra la condizione trascendentale del senso e quella di una conoscenza meramente fenomenica dell’esistente è, dunque, affidato all’esercizio della fede, la vera sapienza(385): fede che trova la forza di “tener per vero” il buon destino dell’esistente e soltanto così può darsi come sostanza (hypóstasis) della speranza e come argomento (élenchos) dell’invisibile(386).
Il nesso a cui questa fede si affida appare celato nel suo dispiegamento, appare come mistero che progressivamente si manifesta e che sarà svelato nel “tempo compiuto”, nella pienezza dei tempi(387), nell’eternità. E la contemplazione filosofica può anche farsi verità scientifica e può prescindere dalle verità scientifiche(388). I vari modi che danno una forma alla materia sono la conoscenza, la contemplazione, l’azione e la creazione artistica. La contemplazione, in particolare, non è sinonimo di un vago crogiolarsi in sensazioni emotive ed evaporanti, bensì di un pensiero che entra in azione.
Si potrebbe dire che la conoscenza nasce con il momento dell’osservazione, la dimensione temporale del krònos è tra gli elementi fondamentali dell’osservazione. Le dimensioni del krònos nell’osservazione sono quella retrospettiva e quella prospettiva mentre; a mio avviso, un momento particolarmente alto dell’interpretazione nello spirito(389) può essere un kairós, nell’atto di carpire e penetrare sia l’attimo fuggente(390) come anche quello speciale e talora irripetibile del Tempo nella sua dimensione sacra, del tempo senza tempo. L’atto interpretativo, tuttavia, nel caso del kairós appare rientrare in un limite al quale umanamente si tende, a mio avviso, piuttosto che collocarsi appieno nella riflessione ermeneutica in dimensione ontologica attraverso la sua identificazione con la struttura stessa dell’esistenza, ovvero che comprendendo ci si appropria di ciò che si è compreso(391). Indubbiamente la persona opera nel finito ma indirettamente diventa momento di ‘eternità’.
Un portare alla luce quanto chiede di nascere e di esistere, perché la forma è in grado di conferire il ‘valore di realtà’ solo alle azioni e alla vita contingente dell’uomo(392).
Infine, facendo irruzione nel chronos di quanti vivono in Cristo il kairós, può paventarsi finanche l’evenienza che il chrònos possa diventare kairós e che la meta sia l’eschaton, la dimensione escatologica del tempo, in cui trova fondamento, senso e profezia tutto l’esistere della vita (soprattutto, invero, in caso di vita consacrata). Il kairós compie, in effetti, la riunione del problema dell’azione e di quello del tempo: tutte le opzioni non temporali, in particolare correlate alla “misura giusta” e alla “idoneità” contengono e completano le basi di significato specificamente temporale; il kairos implica una visione del tempo che possa conciliarsi con un'esigenza d'efficacia dell'azione umana. Il kairós si ricollega ad un tipo di azioni da compiersi con tempestività, non tollerando né ritardo né esitazione.
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(342) Cardinale Joseph Ratzinger, Cenni della concezione cristiana di tempo e di eternità, intervento alla Pontificia Università Lateranense il 15 dicembre 1998 all’interno del Colloquio su “San Tommaso e lo Spirito Santo”, Nuntium, giugno 1999.
(343) Genesi (1, 14-15).
(344) Giosuè (10, 12).
(345) Tempo, in: Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede, (G. Tanzella-Nitti, A. Strumia, a cura di), vol. 2, UUP & Città Nuova 2002, pp. 1363-1374.
(346) Sant’Agostino (354 - 430), Confessioni.
(347) Tempo, in: Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede, ibid.
(348) Boezio (VI sec.), De consolatione philosophiae, V, 3 e successivi.
(349) De consolatione philosophiae, V, 6.
(350) Anselmo d’Aosta (XI sec.), De concordia.
(351) Massimo Ciceri, Piccolissimo sguardo sulla filosofia della storia antica e medievale.
(352) Tommaso d’Aquino, Summa contra gentiles.
(353) Cardinale Joseph Ratzinger, Cenni della concezione cristiana di tempo e di eternità, intervento alla Pontificia Università Lateranense il 15 dicembre 1998 all’interno del Colloquio su “San Tommaso e lo Spirito Santo”, Nuntium, giugno 1999.
(354), (355) Massimo Ciceri, Piccolissimo sguardo sulla filosofia della storia antica e medievale.
(356) Dietrich Bonhoeffer, Etica della responsabilità, ODB 1.
(357) Cardinale Joseph Ratzinger, Cenni della concezione cristiana di tempo e di eternità, intervento alla Pontificia Università Lateranense il 15 dicembre 1998 all’interno del Colloquio su “San Tommaso e lo Spirito Santo”, Nuntium, giugno 1999.
(358) Tempo, in: Dizionario interdisciplinare di Scienza e Fede, (G. Tanzella-Nitti, A. Strumia, a cura di), vol. 2, UUP & Città Nuova 2002, pp. 1363-1374.
(359) Nella mitologia greca, già nell’Iliade (XIV, 271 segg.; XV, 221 segg.; V, 869 segg.), Kronos si presenta come partecipe della natura delle divinità sotterranee e di quella dei Titani, detti Uranidi, cioè figli di Urano, confinati nel Tartaro. Ma è Esiodo l’autore capace di narrare in modo dettagliato le origini e le vicende del dio: Krònos è figlio di Urano (il cielo) e di Gea (la terra); il padre, timendo di essere privato del trono, tiene prigionieri i figli, i Titani; Krònos mutila il padre, con una falce ricevuta da Gea, e lo evira; divenuto padrone del mondo sposa Rea ma, intimorito dalla maledizione del padre che gli ha predetto che a lui anche sarebbe toccato di essere privato del potere da un suo figlio, decide di divorare tutti i figli che riceve da Rea; quest’ultima però, consigliatasi con i genitori, si reca nell’isola di Creta, dove dà alla luce un figlio, Zeus, che ha cura di nascondere in una grotta, dando a divorare a Crono una pietra avvolta in fasce anziché il figlio Zeus; questi, divenuto adulto, costringe il padre Krònos a vomitare i figli ingoiati e dopo dieci anni di guerra (Titanomachia: lotta tra Zeus e gli dei olimpici da una parte e Krònos e i suoi seguaci dall’altra, con condanna finale di costoro al Tartaro) ne prende il posto come padrone del mondo. Così le creature vomitare vanno a costituire l’ordine degli dei olimpici, ovvero il buon ordine civile, l’orizzonte organizzato dalla parola, che la lingua greca individua con il vocabolo kairós, a indicare il tempo creato dagli dei rinati dal paterno ventre divoratore.
(360) Genesi (1, 1).
(361) Apocalisse (22, 20).
(362) Nel pensiero greco il tempo è concepito come un circolo e l’uomo legato al tempo è considerato come in schiavitù e nella maledizione per cui la salvezza equivale a fuggire dal tempo, uscire dal ciclo dell’eterno ritorno. Rif.: O. Culmann, Cristo e il tempo, il Mulino, Bologna 1965.
(363) M. Join-Lambert, P. Grelot, Tempo, in Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, 1976.
(364) Galati (4, 4).
(365) Marco (1, 15).
(366) Luca (12, 54-56).
(367) Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 10.
(368) Giovanni (14, 26; 15, 13; 16, 13).
(369 Ebrei (13, 8).
(370) Giovanni (17, 3).
(371) Nel lessico biblico conoscere non deriva solo da un processo meramente intellettuale, ma da un’esperienza, da una relazione interpersonale (come già nelle prima pagine della Bibbia: “Adamo conobbe Eva” (Gen. 4,1), così in Giovanni il verbo ‘conoscere’ è sempre associato ai verbi ‘credere’, ‘amare’.
(372) La teologia trinitaria è l’unico modo che abbiamo di esplicitare quanto afferma il vertice della Rivelazione: “Dio è Amore” (1 Giovanni 4,8), Dio è “Comunione d’amore” (che Agostino chiama: “l’Amante, l’Amato, l’Amore)”, l’Amore trinitario riversato in noi attraverso il dono dello Spirito Santo e svelato a noi attraverso il Cristo morto e risorto per ristabilire la comunione tra Dio e gli uomini e tra gli stessi uomini. Rif.: Qual è il tuo Nome? Il mistero trinitario di Dio, Esperienze, 2007.
(373) Umberto Casale, Qoèlet, la domanda del tempo. Gesù, la pienezza del tempo. Considerazioni bibliche sul tempo, 5; in: “Krònos & kairós - il tempo della coscienza, la coscienza del tempo”, Associazione culturale “All’ombra del Monviso”, 2011, pagg. 41-45.
(374) Marshall McLuhan.
(375) - (376) Timothy Verdon, Con gli occhi puntati dove confluisce la storia, L’Osservatore Romano, 12 agosto 2010.
(377) Da “L’origine del futuro” (2010) di René Berger, già docente di Estetica e mass media all’Università di Losanna, e Direttore del museo d’arte e storia della stessa città, Presidente onorario della Associazione Internazionale per il video nelle arti e nella cultura, consulente di Unesco e Consiglio d’Europa. Autore di opere fondamentali sul rapporto tra arte e comunicazione ed tra i massimi esperti mondiali di comunicazione multimediale, reti informatizzate, museografia, arti e nuove tecnologie; a proposito di televisione, nel “La télefission, Alerte à la télévision” già 25 anni fa paragonava gli effetti della televisione con quelli della fissione nucleare in fisica, e psicoanaliticamente leggeva la missione televisiva più come una fantasmatica collettiva che come un fatto razionale.
(378) Friedrich Nietzsche.
(379) Gli antichi Greci oltre a kronos e kairós possedevano nel loro lessico una terza parola, Aion, per individuare una particolare forma del tempo: il tempo in cui l’adesso è inconsistente, in cui un’azione è sempre già accaduta o sta sempre per accadere, in cui tutto è solo passato o futuro, in cui il presente è incorporeo, senza spessore.
(380) Pensiero della filosofa ginevrina Jeanne Hersch.
(381) Abs rimaneggiato da: Raimondo Villano, Il tempo scolpito nel silenzio dell’eternità. Riflessioni per l’indagine diacronica per la memoria dell’homo faber, Parte Prima - Cap. I: Il senso della storia e il dovere della memoria, Chiron, ottobre 2010.
(382) Umberto Casale, Qoèlet, la domanda del tempo. Gesù, la pienezza del tempo. Considerazioni bibliche sul tempo, 5; in: “Krònos & kairós - il tempo della coscienza, la coscienza del tempo”, Associazione culturale “All’ombra del Monviso”, 2011, pagg. 41-45.
(383) “Tutto ha il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il sole. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato, un tempo per uccidere e un tempo per curare, un tempo per demolire e un tempo per costruire, un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per fare lutto e un tempo per danzare, un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci, un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per conservare e un tempo per buttar via, un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare, un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Ho considerato l’occupazione che Dio ha dato agli uomini perché vi si affatichino. Dio ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ha posto nel cuore dell’uomo il senso dell’eterno, senza però che l’uomo possa comprendere ciò che Dio ha compiuto dal principio alla fine”. Dal libro biblico del Qoèlet, ovvero “colui che parla nell’assemblea”, (3,1-11).
(384) Abs rimanegg. da: Søren Kierkegaard, Il concetto di angoscia, Opere, Piemme, 1995, I, 395-397.
(385) “La coscienza di un senso originario e la consapevolezza di non poterla intendere nel concreto del tempo: è proprio da questa duplice cognizioneche può scaturire la modesta saggezza che si attiene alla fugace ma intensa passione del presente”: V. Melchiorre, Qoèlet o della serenità del vivere, cit., 46; cf. G. Ravasi, Qohelet, San Paolo, Cinisello Balsamo 1988.
(386) Così Ebrei 11,1 descrive la fede: «La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede»; si potrebbe dire così: accettare con fede una promessa è “un modo di possedere già ciò che si spera”. Rif.: Umberto Casale, ibid.
(387) “Dio ha fatto ogni cosa bella al suo tempo, ma egli ha anche messo nel cuore degli uomini il mistero, cosicché l’uomo non può comprendere quello che Dio ha fatto dal principio alla fine”: così traduce l’ ‘olam ebraico A. J. Heshel in God in search of Man, 1955, 72. Rif.: Umberto Casale, ibid.
(388) Jeanne Hersch, asserzione connotata come “illusione” nell’opera di grande respiro dal titolo “L’illusione filosofica”, 1936.
(389) Lo spirito inteso come rapporto o sintesi d’infinito e di finito; l’uomo è propriamente tale quando il suo essere sintesi viene a coscienza, quando il rapporto si dà nella consapevolezza e nella meditazione riflessiva; l’uomo è spirito quando “volendo essere se stesso, si fonda in trasparenza nella potenza che l’ha posto”. Rif.: Søren Kierkegaard, Opere, La malattia mortale, Piemme, 1995,III, 21.
(390) Si pensi ad una condizione particolare in cui si renda conto del valore di un’espressione del tipo: “O attimo, soffermati - sei tanto bello). (Rif.: Johann Wolfgang von Goethe, Faust).
(391) “(…) Chiamiamo spiegazione questo formarsi del comprendere. In essa comprendendo, il comprendere si appropria il compreso. Nella spiegazione il comprendere non diventa qualcos’altro, ma se stesso. La spiegazione si fonda esistenzialmente nel comprendere, e non è questo a scaturire da quella”. Martin Heidegger, Essere e Tempo, paragrafo 32.
(392) Jeanne Hersch, nell’analisi ‘ou la naissance éternelle du temps’ in “La nascita di Eva”.
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Abstract da:
Raimondo Villano “Logos e teofania nel tempo digitale”, Parte IV, Capitolo XVI, Chiron, giugno 2012, pag. 260.
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